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🎄 Il Natale come tempo narrativo

Il Natale non è solo una festa. È un tempo diverso. Un tempo che non corre, ma ritorna. Ogni anno, più o meno negli stessi giorni, la vita si ferma abbastanza da permetterci di guardarla. E quando il tempo si apre così, la scrittura trova spazio. Un capitolo che torna ogni anno Il Natale è come un capitolo obbligato della nostra storia. Puoi provare a saltarlo, ma lui torna. Con le stesse domande, gli stessi vuoti, gli stessi rituali. Ci sono tavole che si ripetono. Sedie che restano vuote. Frasi che si dicono da anni e frasi che non si dicono mai. Scrivere a Natale significa accettare che la trama non va sempre avanti. A volte gira in tondo. A volte torna indietro. A volte si ferma su una scena che non abbiamo mai chiuso davvero. Il tempo che rallenta Tra Natale e Capodanno succede qualcosa di strano: i giorni perdono il nome. Il calendario si sfalda. Il mondo abbassa la voce. È uno dei pochi momenti dell’anno in cui non siamo costretti a produrre, correre, dimostrare. E quando il rum...

✒️ Scrivere come se il mondo fosse già leggenda

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  L’arte di García Márquez C’è un equivoco che accompagna García Márquez da sempre: che scrivesse “fantastico”. In realtà, lui faceva una cosa molto più semplice e molto più difficile: prendeva sul serio la realtà. Non la filtrava. Non la spiegava. Non la normalizzava per renderla digeribile. La ascoltava. García Márquez raccontava spesso di sua nonna. Una donna che parlava di fantasmi, presagi e miracoli con lo stesso tono con cui si parla del tempo o del pranzo. Nessuna enfasi. Nessuna sorpresa. Ecco il punto: Non importa cosa racconti, ma come ci credi mentre lo racconti. Se tu per primo tratti l’incredibile come qualcosa di naturale, il lettore non ha motivo di dubitare. La realtà, in fondo, è già piena di cose che sfidano la logica. Siamo noi che abbiamo imparato a non vederle più.  A Macondo non succede nulla di “straordinario”. García Márquez ci convince che quella sia la normalità.  Non spiega ma racconta. Non cerca di giustificare ciò che accade, ma lo lascia acc...

🐟 Come immergere un lettore

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  Ci sono libri minuscoli che contengono oceani. Il vecchio e il mare di Hemingway è uno di questi. Poche pagine, quasi nessun dialogo, una storia che potresti riassumere con una frase: un vecchio pescatore esce in mare e lotta con un pesce enorme. Eppure, quando lo leggi, ti ritrovi sull’acqua cubana, con quell’odore di sale addosso, con la pelle bruciata dal sole e il ritmo cadenzato dell'onda. Hemingway non ti porta dentro con descrizioni infinite, non spreca parole. Ti immerge perché sa aspettare. Sa lasciare che la tensione cresca come una corda che si tende piano. Prima l’attesa. Poi la lotta. Poi la natura che diventa personaggio, respiro, destino. E il lettore ci cade dentro senza accorgersene. Non la descrizione del vecchio ma il modo in cui il vecchio parla al suo stesso corpo. Non la descrizione del pesce, ma la forza che gli tira il braccio dalle ossa. Non il mare, ma il mare che risponde. Per immergere un lettore non serve scrivere tanto. Serve scrivere così vicino ch...

🤫 Il silenzio che arriva quando scrivi

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C’è la convinzione un po’ romantica che per scrivere, bisogna sparire dal mondo. Chiudersi in una stanza bianca, spegnere il telefono, andare in montagna, nell'albergo di Shining e trovare il silenzio perfetto, come se il silenzio fosse una condizione obbligatoria. Per me non serve distaccarsi dal mondo per scrivere, ma è scrivendo che ci si distacca dal mondo. Il silenzio non lo cerchi: arriva. Arriva mentre il frigo vibra, mentre il vicino trascina una sedia, la stessa tutti i giorni, alla stessa ora.  Arriva quando la metro si ferma e una voce calma ti dice, che porte si apriranno sul lato destro. È in mezzo alla quotidianità che succede la magia. Non quando tutto tace, ma quando tu taci rispetto al resto. Perché quando scrivi, succede qualcosa di strano. Il mondo di fuori continua a fare rumore, ma smette di disturbarti, si sfuma, si abbassa. Scompare. E non perché è cambiato lui, perché sei cambiato tu. Scrivere è come infilarsi in un corridoio segreto che nessuno vede. Un pas...

🚀 Il viaggio segreto dello scrittore

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C’è un momento quando scrivi, in cui smetti di essere una persona normale. Non te ne accorgi subito: succede piano, come un fischio nelle orecchie. Prima ti distrai cinque secondi al semaforo. Poi dieci. Poi ti chiedono: «A cosa stai pensando?» E tu rispondi: «A niente.» Mentre in realtà hai appena avuto il colpo di scena che rivoluzionerà tutta la letteratura mondiale e che, per motivi inspiegabili, arriva sempre quando stai facendo la spesa o quando un cliente ti parla di fontina valdostana.  Scrivere è un viaggio clandestino. Un volo senza autorizzazione tra due mondi: quello fuori, fatto di email e bollette, e quello dentro, dove i tuoi personaggi ti aspettano come amici di cui non riesci più a liberarti. E così finisci per passare più tempo con loro che con chi ti vive accanto. Ti parlano mentre fai la doccia, ti giudicano mentre apri il frigo. Quando scrivi, i personaggi restano in un limbo, sospesi, vivi a metà. Si presentano nei sogni, come Atreyu e gli altri de La storia ...

🗑 Il foglio bianco non è tuo nemico

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  Non è vero che il foglio bianco fa paura. Fa paura quello che ci metti davanti. Le aspettative, la fretta, l’idea che ogni parola debba essere perfetta già al primo colpo. Ma il foglio bianco non giudica. Non chiede capolavori. Aspetta solo che tu cominci. L’ansia da foglio bianco nasce quando confondi scrivere con fare bene . Ma scrivere non è performance. È presenza. Non serve avere qualcosa di geniale da dire. Serve solo esserci. Anche con le mani che tremano. Anche con la testa piena di niente. Comincia con una parola. Una sola. Anche se è stupida. Anche se è banale. Scrivi: oggi. Oppure: non so. Da lì, qualcosa si muove sempre. Il foglio bianco non è un muro: è una porta. Non devi abbatterla, basta bussare. E aspettare che qualcosa, prima o poi, ti apra da dentro. 📓 Domanda per chi scrive : Cosa fai tu quando il foglio bianco ti guarda negli occhi?

🗑 Le parole che non servono più

Scrivere è anche saper togliere. Come in amore, come nella vita. Ci sono parole che non servono, ma restano lì, come foglie secche su una frase che aveva già detto tutto. Parole tappabuchi, abitudinarie, riempitive: comunque, praticamente, in qualche modo, davvero, forse, poi, tipo. Le scriviamo per paura del silenzio, per non lasciare nuda una frase che ci sembra fragile. Ma la verità è che una frase nuda, se è vera, regge meglio di mille avverbi in giacca e cravatta. Ogni parola ha un peso, e più le accumuli, più la pagina si piega. Scrivere non è dire tutto, è scegliere cosa merita di essere detto. Il resto, come certi amori, certi rimpianti, certe giustificazioni... si può lasciare andare. La scrittura respira quando smetti di voler spiegare tutto. Quando lasci che una parola sola tenga in piedi una riga, un ricordo, un battito. Perché a volte, togliendo, la voce resta più chiara. Esercizio : Rileggi un tuo testo e taglia ogni comunque, praticamente, in realtà, tipo. Poi rileggilo ...

✒️ Quello che nessun altro può

  Il ruolo dello scrittore non è quello di dire quello che tutti gli altri possono, ma quello che nessun altro può o dovrebbe. — Anaïs Nin Essere scrittori non significa raccontare di più, ma vedere diversamente. Scovare lo straordinario nell’ordinario, ascoltare la musica nascosta dentro una frase che per tutti è solo rumore. Lo scrittore non parla per riempire il silenzio, ma per illuminarlo. Scava nelle parole fino a trovarci un fondo, o almeno un riflesso. E quando lo trova, lo mostra, anche se brucia, anche se non è bello, anche se nessuno gliel’ha chiesto. Scrivere è questo: dire ciò che nessun altro può, non perché siamo migliori, ma perché non possiamo far finta di non averlo visto. 📖 Esercizio :  scegli una cosa banale: una tazza, una pioggia, una mano. Descrivila come se fosse la prima volta che  vedi una quell'oggetto. Come se da quella piccola cosa dipendesse il senso di tutto.

📚 Il narratore onnisciente

 Un narratore onnisciente è una voce in terza persona che conosce tutto: non solo ciò che accade visibilmente, ma i pensieri, i sentimenti, le memorie dei personaggi, le circostanze che nessuno di loro può conoscere, e spesso anticipazioni su eventi futuri È una voce che non appartiene a nessuno, eppure sa tutto. Vede i personaggi dall’alto, li segue dentro le stanze, dentro i pensieri, a volte persino dentro il futuro. È il dio della pagina. Ma non è un dio che deve parlare sempre. Se dice tutto, soffoca. Se entra ovunque, confonde. Il segreto è dosarlo: un passo dentro e uno fuori, un dettaglio che nessuno poteva sapere, un pensiero che nessuno aveva ancora ammesso. Tolstoj ne era maestro. Sapeva quando restare distante, freddo, quasi cronista, e quando invece infilarsi nell’anima dei suoi personaggi con la precisione di chi ascolta i battiti del cuore. La sua onniscienza non era mai invadenza: era regia.   Un campo lungo per mostrarci il mondo, un primo piano per mostrarci ...

📌… e tutte le cose che non diciamo

Scrivere con i puntini di sospensione I puntini di sospensione sono diventati parte della nostra vita. Li trovi ovunque: nelle chat, nei messaggi, nei post, nei commenti, nelle note vocali trascritte in fretta. Sono diventati un’abitudine. Una scorciatoia. Un modo per lasciare in sospeso, per alludere, per non prendersi la responsabilità di chiudere una frase. «Vediamo…» «Boh…» «Come vuoi tu…» Ma scrivere è anche decidere. E i puntini, se usati troppo, smettono di suggerire il non detto e iniziano solo a confondere. Grammaticamente, i puntini servono per interrompere. Per creare attesa, esitazione, silenzio. Narrativamente, sono uno spazio bianco che dice più di mille parole. Ma proprio per questo, vanno usati con rispetto. Tre puntini veri hanno un peso. Sono un respiro trattenuto, uno sguardo che si abbassa, una parola che rimane in gola. E non ce ne vogliono cinque, o dieci, o quindici. Ne bastano tre. Sempre. Non è un effetto grafico: è un gesto preciso. Un accordo col lettore. Ric...

📚 Leggere per scrivere

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“Se non hai tempo per leggere, non hai né il tempo né gli strumenti per scrivere.” Stephen King Non è una frase da incorniciare. È una verità da digerire. Scrivere senza leggere è come parlare senza mai aver ascoltato nessuno. È fare il cuoco senza aver mai assaggiato un piatto. Chi scrive deve leggere. Leggere tanto, leggere tutto. Leggere bene e leggere male, anche. Per capire cosa funziona e cosa no. Per scoprire che le parole sono materia viva, e che ogni libro è una cassetta degli attrezzi lasciata aperta sul tavolo. Non si legge solo per piacere. Si legge per imparare il ritmo. Per sentire come respira una frase. Per vedere come si apre una scena, come si chiude un capitolo, come si disegna un personaggio con una sola battuta. Si legge per non restare soli. Perché ogni scrittore è un lettore che non è riuscito a tenere tutto dentro.

📖 La casa del sonno di Jonathan Coe

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Scrivere come se il tempo fosse un ricordo confuso “Il linguaggio è un traditore, un agente segreto doppiogiochista che scivola inavvertito tra un confine e l’altro nel cuore della notte.”  Jonathan Coe, La casa del sonno Scrivere non è scappare dal silenzio. È abitarlo, con tutte le sue ingiurie. E il linguaggio è un traditore. Ma non uno che si odia. È il tipo di traditore che continui a inseguire, proprio perché ti inganna bene. Uno che ti costringe a cercare la parola giusta sapendo che forse non la troverai mai. Perché la scrittura vera non è certezza: è tensione, rischio, disordine. E c’è un altro inganno-genialata nella struttura del racconto: i capitoli dispari ci mostrano i giorni del 1983–84, quando i personaggi erano studenti;  i capitoli pari, invece, ci catapultano nel giugno del 1996, nella clinica che un tempo era il loro dormitorio  . Scrivere così è come suonare due accordi contemporaneamente: passato e presente. Senza separazioni nette, ma con rimandi, o...

🖋 La verità che non sai di sapere

A volte scrivo pensando di avere tutto sotto controllo. So dove voglio andare, conosco il finale, ho già deciso cosa dire. Poi, all’improvviso, una frase scappa dalle mani. Non era prevista, non l’avevo pensata. Eppure è lì, sulla pagina, come se fosse sempre stata lì. La guardo e mi chiedo: “Ma questa da dove è uscita?”. E capisco che non è uscita: era già dentro. Solo che non avevo ancora il coraggio, o le parole, per portarla alla luce. Scrivere, a volte, è proprio questo: scoprire verità che non sapevi di sapere. E non è sempre piacevole. Ci sono frasi che ti spogliano più di uno sguardo, e verità che avresti preferito ignorare. Ma una volta scritte non puoi far finta di niente. La scrittura non inventa tutto. Scava. E quello che trova non è sempre nuovo.  È antico, come un segreto custodito troppo a lungo.

🌀 Il climax: quando il fiato si fa corto

Il climax è il momento di massima tensione all’interno di una storia. Il punto più alto della montagna, quello in cui tutto sembra sul punto di esplodere o cambiare per sempre. Scrivere è come scalare. Non sai esattamente dove stai andando, ma sai che deve succedere qualcosa. Che stai salendo. Che ogni frase aggiunge quota. Che il respiro si fa più corto. Il climax non è solo “il momento più intenso della storia”. È il momento in cui tutto il resto non basta più. Le mezze misure non servono. I personaggi smettono di fingere. Qualcuno cade. Qualcuno urla. Qualcuno, finalmente, dice la verità. Non sempre è una scena d’azione. A volte è uno sguardo. Una confessione. Un silenzio che pesa più di tutto il resto. Il climax è quella pagina in cui il lettore smette di respirare, e anche chi scrive ha il cuore che batte un po’ più forte. È la curva più ripida. È il momento in cui non si torna indietro. E dopo? Dopo si scende. Ma mai nello stesso modo in cui si è saliti. ✏️ Esercizio: Scrivi una...

✍️ Hai finito? Bravo. Ora smettila di guardarlo.

 Hai finito. Punto. Magari con un certo orgoglio. O con la sensazione che sia venuto bene. O con la nausea. Hai camminato in quel mondo, ti ci sei perso, ci hai dormito e ci hai mangiato. Ogni parola ti sembra giusta. Bene. Adesso chiudi il file. Come quando si sforna il pane: ha bisogno di raffreddare. Perché sei ancora dentro. E finché sei dentro, non vedi. Vivi. Respiri. Ma non distingui. Sei il protagonista, il regista, lo sceneggiatore e il pubblico insieme. E non è il momento giusto per fare pulizia. 📌 Aspetta. Una settimana, almeno. Fatti un giro. Leggi altro. Pensa ad altro. Così, quando riaprirai quel file, lo guarderai con occhi diversi. Ti sorprenderà. Ti deluderà. Ti farà ridere. Ti farà schifo. E soprattutto: tu non sarai più lo stesso scrittore. 📖 La rilettura è un altro momento di scrittura. È il momento in cui torni lettore. E capisci che quella scena che amavi tanto… in realtà non serve. Che quel dialogo che ti sembrava brillante… è solo un monologo travestito. C...

📖 Questa tensione è insopportabile. Speriamo che duri

 «Questa tensione è insopportabile. Speriamo che duri.» La lessi per la prima volta su Dylan Dog.  Mi colpì perché quella frase diceva tutto. E diceva il contrario. La tensione è insopportabile, ma è anche ciò che tiene viva la storia. E la vita. Quando scriviamo, la tentazione è spesso quella di risolvere. Di spiegare, chiudere, sciogliere i nodi. Ma quelli bravi sanno che il vero segreto è tirare la corda senza spezzarla. Farla vibrare. Tenerla tesa, come un filo tra due grattacieli. Farci camminare sopra i personaggi. E sotto? Il vuoto. La tensione narrativa non è solo suspense. Non è solo "cosa succederà adesso?" È un bisogno che cresce. Una fame che non si può ancora saziare. È lo squalo che non si vede mai, ma si sente. La colonna sonora dello Squalo è uno degli esempi perfetti. Due note. Due. E ogni volta che le senti, sai che sta per succedere qualcosa. Ma ancora non succede. Ed è proprio lì che sei dentro la storia. ✍️ Per chi scrive, il difficile non è creare l’espl...

🧐 Lo scrittore è giudice o testimone?

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  Quando scriviamo, ci troviamo spesso in bilico tra due tentazioni: giudicare e giustificare. Ma forse lo scrittore non è né giudice né avvocato. È qualcosa di più scomodo: è uno che racconta. Uno che osserva, che entra nelle crepe, che ascolta anche chi non vorrebbe ascoltare. Uno che dà voce, non uno che assegna sentenze. Essere scrittori non significa assolvere o condannare i personaggi. Significa capirli. Perfino quando fanno schifo. Perfino quando fanno paura. Ecco perché i buoni scrittori sembrano contraddittori: raccontano un assassino e ci fanno provare empatia. Scrivono di un tradimento e ci costringono a capirne la solitudine. Non è giustificazione. È complessità. Lo scrittore giudica dopo, quando rilegge. Ma mentre scrive… deve ascoltare anche il lato sbagliato. ✏️ Esercizio: Scrivi una scena in cui un personaggio fa qualcosa di inaccettabile. Poi riscrivila dal suo punto di vista. Non per scusarlo. Ma per capirlo. Perché a volte, raccontare è l’unico modo per non giudi...

🗒 Scrivere è guardare due volte

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«Dovresti essere in grado di entrare in una stanza e sapere tutto quello che hai visto lì dentro. Se quella stanza ti ha dato una sensazione, devi sapere cosa te l’ha data.» — Ernest Hemingway Hemingway non parlava solo di memoria. Parlava di sguardo narrativo. Non basta descrivere cosa c’era. Serve capire perché quella stanza ti ha fatto sentire in un certo modo. Il trucco non è elencare: tende rosse, una sedia, odore di caffè. È riconoscere il dettaglio che ha acceso l’emozione. Forse era la tazza scheggiata, la finestra chiusa nonostante il caldo, la polvere sullo specchio. Scrivere bene significa sapere cosa tenere e cosa lasciare fuori. E per farlo, serve uno sguardo che scava, che sente prima di descrivere. Quando scrivi una scena, chiediti: cos’è che mi ha fatto tremare? Esercizio : entra in una stanza. Anche la tua. Poi esci. Senza guardare foto, scrivi: 3 dettagli che ti hanno colpito 1 sensazione 1 oggetto che può raccontare tutto il resto

🧹✍️ La fatica di iniziare

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  Come andare in palestra. Come fare le pulizie. Come scrivere. Scrivere è faticoso, sì. Ma la parte più dura è sempre prima. Quel momento lì, che può durare dieci minuti o dieci giorni, in cui ti dici: “Dovrei scrivere.” Ma non scrivi. È come quando devi andare in palestra. Lo sai che poi ti sentirai meglio. Che non ti pentirai mai di esserci andato, solo di non esserci andato prima. Eppure rimandi. Trovi una scusa, un cuscino, un biscotto. O come quando devi fare le pulizie. All’inizio tutto ti sembra troppo. Poi cominci a spolverare un angolo. Poi un altro. E a un certo punto ti ritrovi che stai cantando mentre lavi il lavandino. Non perché ti piaccia. Ma perché hai cominciato. Anche scrivere è così. Serve un piccolo rituale di ingresso. Accendere una candela. Chiudere le notifiche. Aprire il file. Fissarlo dieci minuti. Scrivere una frase orrenda, solo per sporcare la pagina. Solo per rompere il bianco. L’inizio è il momento più fragile. Perché lì ci sono tutte le paure: di non...

✍️ Il ritmo nella scrittura: come si crea musicalità

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  C’è chi scrive con la testa, chi con il cuore, chi con le viscere. Ma i bravi scrittori scrivono anche con le orecchie. Sì, perché la scrittura ha un ritmo. Non si vede, ma si sente. Sta lì, tra una virgola e un capoverso, tra una pausa e una parola scelta non solo per il significato, ma per il suono. Il ritmo è come il respiro del testo. Se è troppo veloce, il lettore si stanca. Se è troppo lento, si addormenta. Se è sempre uguale, non arriva da nessuna parte. Il trucco è mescolare. Frasi lunghe che si srotolano e ti portano dentro. Frasi brevi che ti svegliano, che colpiscono. Punti. E pause. Poi una frase che rallenta, che si piega, che inciampa. E riparte. Il ritmo si costruisce con la punteggiatura, certo, ma anche con la ripetizione, con le allitterazioni, con le parole che suonano bene insieme. E con la capacità di togliere. Un buon ritmo, spesso, è quello che rimane dopo che hai tagliato il superfluo. Non è questione solo di regole. È questione di musica interiore. Di que...