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📚 Il narratore onnisciente

 Un narratore onnisciente è una voce in terza persona che conosce tutto: non solo ciò che accade visibilmente, ma i pensieri, i sentimenti, le memorie dei personaggi, le circostanze che nessuno di loro può conoscere, e spesso anticipazioni su eventi futuri È una voce che non appartiene a nessuno, eppure sa tutto. Vede i personaggi dall’alto, li segue dentro le stanze, dentro i pensieri, a volte persino dentro il futuro. È il dio della pagina. Ma non è un dio che deve parlare sempre. Se dice tutto, soffoca. Se entra ovunque, confonde. Il segreto è dosarlo: un passo dentro e uno fuori, un dettaglio che nessuno poteva sapere, un pensiero che nessuno aveva ancora ammesso. Tolstoj ne era maestro. Sapeva quando restare distante, freddo, quasi cronista, e quando invece infilarsi nell’anima dei suoi personaggi con la precisione di chi ascolta i battiti del cuore. La sua onniscienza non era mai invadenza: era regia.   Un campo lungo per mostrarci il mondo, un primo piano per mostrarci ...

📖 Questa tensione è insopportabile. Speriamo che duri

 «Questa tensione è insopportabile. Speriamo che duri.» La lessi per la prima volta su Dylan Dog.  Mi colpì perché quella frase diceva tutto. E diceva il contrario. La tensione è insopportabile, ma è anche ciò che tiene viva la storia. E la vita. Quando scriviamo, la tentazione è spesso quella di risolvere. Di spiegare, chiudere, sciogliere i nodi. Ma quelli bravi sanno che il vero segreto è tirare la corda senza spezzarla. Farla vibrare. Tenerla tesa, come un filo tra due grattacieli. Farci camminare sopra i personaggi. E sotto? Il vuoto. La tensione narrativa non è solo suspense. Non è solo "cosa succederà adesso?" È un bisogno che cresce. Una fame che non si può ancora saziare. È lo squalo che non si vede mai, ma si sente. La colonna sonora dello Squalo è uno degli esempi perfetti. Due note. Due. E ogni volta che le senti, sai che sta per succedere qualcosa. Ma ancora non succede. Ed è proprio lì che sei dentro la storia. ✍️ Per chi scrive, il difficile non è creare l’espl...

🗒 Scrivere è guardare due volte

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«Dovresti essere in grado di entrare in una stanza e sapere tutto quello che hai visto lì dentro. Se quella stanza ti ha dato una sensazione, devi sapere cosa te l’ha data.» — Ernest Hemingway Hemingway non parlava solo di memoria. Parlava di sguardo narrativo. Non basta descrivere cosa c’era. Serve capire perché quella stanza ti ha fatto sentire in un certo modo. Il trucco non è elencare: tende rosse, una sedia, odore di caffè. È riconoscere il dettaglio che ha acceso l’emozione. Forse era la tazza scheggiata, la finestra chiusa nonostante il caldo, la polvere sullo specchio. Scrivere bene significa sapere cosa tenere e cosa lasciare fuori. E per farlo, serve uno sguardo che scava, che sente prima di descrivere. Quando scrivi una scena, chiediti: cos’è che mi ha fatto tremare? Esercizio : entra in una stanza. Anche la tua. Poi esci. Senza guardare foto, scrivi: 3 dettagli che ti hanno colpito 1 sensazione 1 oggetto che può raccontare tutto il resto

✍️ Il ritmo nella scrittura: come si crea musicalità

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  C’è chi scrive con la testa, chi con il cuore, chi con le viscere. Ma i bravi scrittori scrivono anche con le orecchie. Sì, perché la scrittura ha un ritmo. Non si vede, ma si sente. Sta lì, tra una virgola e un capoverso, tra una pausa e una parola scelta non solo per il significato, ma per il suono. Il ritmo è come il respiro del testo. Se è troppo veloce, il lettore si stanca. Se è troppo lento, si addormenta. Se è sempre uguale, non arriva da nessuna parte. Il trucco è mescolare. Frasi lunghe che si srotolano e ti portano dentro. Frasi brevi che ti svegliano, che colpiscono. Punti. E pause. Poi una frase che rallenta, che si piega, che inciampa. E riparte. Il ritmo si costruisce con la punteggiatura, certo, ma anche con la ripetizione, con le allitterazioni, con le parole che suonano bene insieme. E con la capacità di togliere. Un buon ritmo, spesso, è quello che rimane dopo che hai tagliato il superfluo. Non è questione solo di regole. È questione di musica interiore. Di que...

✍️ La domanda che regge tutto (e che ci tiene svegli la notte)

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  Ogni storia, in fondo, è una domanda. Magari non la riconosci subito. È nascosta sotto le azioni, i dialoghi, le emozioni. Ma c’è. Sempre. E se non c’è, lo senti: ti annoi. Perché la storia non sta andando da nessuna parte. La domanda principale è la tensione invisibile che tiene il lettore incollato. È ciò che lo fa voltare pagina. È il filo rosso che unisce ogni scena a quella dopo. “Ogni grande romanzo è costruito attorno a una domanda drammatica. Il lettore deve assolutamente sapere la risposta. È per questo che continua a leggere.” — James N. Frey, Come scrivere un romanzo dannatamente buono. Può essere una domanda semplice: Chi ha ucciso il conte? Lui e lei torneranno insieme? Riuscirà a salvarsi? Oppure può essere profonda e sotterranea: Troverà un senso alla sua esistenza? Imparerà a perdonare suo padre? Capirà di non essere il mostro che crede di essere? La cosa importante è che ci sia. Chiara. Definita. Ineludibile. 📌 Una storia senza domanda è solo una successione di ...

🎭 Inizio, mezzo, fine. Tutto qui?

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  Aristotele, nella Poetica , diceva che ogni storia ben fatta ha un inizio, un mezzo e una fine . Sembra una banalità, no? Una roba da scuola elementare. E invece è una bomba a orologeria. Perché ogni volta che un racconto non funziona, quasi sempre è perché una di queste tre cose non è chiara. Oppure c’è, ma non sa di niente. L’ inizio non è solo “da dove parte”. È perché comincia proprio lì . È la miccia. Se non innesca, non esplode. Il mezzo non è solo “quello che succede dopo”. È la lotta, il dubbio, il conflitto . Se non succede niente, il lettore ti molla. La fine non è solo “come finisce”. È il senso . Anche se resta aperta, deve chiudere qualcosa . Scrivere è dare un ordine al caos. E quell’ordine ha una forma circolare , che ti fa entrare, ti tiene dentro, e poi ti lascia qualcosa addosso. Una buona storia ha un prima che pesa, un durante che scotta, un dopo che resta. E non è filosofia. È mestiere. 🛠 Esercizio (per chi ha il coraggio) Prendi un ...

🤔 L’incipit: la miccia della storia

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  L’incipit è come un tagliolino al tartufo. Pochi ingredienti, preparazione semplice. Ma il risultato può essere sublime o una palla di pasta. Basta un attimo.  L'incipit deve catturare. Colpire. Trattenere. Ma senza dirti tutto. Senza strafare. È come l’attacco di una canzone: deve farti tendere l’orecchio, fermare il passo, rimanere lì. In un’epoca in cui il lettore ha la soglia d’attenzione di un criceto, quella prima paginetta può essere la sorte del romanzo.. O quasi. L’incipit deve essere tensione. Energia che accende il motore. Una mano che si allunga nella nebbia e ti dice: “Seguimi, ma non parlare. Non ancora.” Personalmente non amo monologhi esistenziali, raffinate descrizioni meteorologiche, genealogie, sole che sorge sulle colline, notti buie e tempestose. Ci vuole una promessa. E l’odore del mistero. A me piace far squillare il telefono, ancora si drizzano a tutti le antenne quando squilla il telefono.   Ma l’incipit più bello che abbia mai letto è ques...

🧹 Togliti di mezzo

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  A volte succede. Scrivi un racconto e vuoi infilarci dentro quell’episodio che ti pare geniale , o quella frase che ti rappresenta, o far dire al personaggio una cosa che pensi tu. Ma non c’entra niente. Non fa avanzare la trama. Non svela il personaggio. Non porta tensione. È solo il tuo ego che parla . Succede a tutti. Ma se vuoi scrivere davvero, togliti di mezzo . Non sei lì per mostrare quanto sei intelligente. Sei lì per far vivere la storia. Quando infili dentro roba che non serve, il lettore lo sente. E la storia si piega. Fa fatica. Perde ritmo. Scrivere non è mostrare sé stessi, è servire qualcosa che sta sopra di te . Una storia che vuole venire al mondo senza i tuoi sfoghi, senza i tuoi interventi, senza le tue opinioni infilate a forza. Quello che pensi verrà fuori lo stesso. Ma deve farlo da solo, come conseguenza , non come dichiarazione. Se non serve, taglia. Se lo vuoi dire, scrivilo da un’altra parte.

🔙 Scrivere al passato

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  Scrivere al passato è più semplice. Non è un limite, è un sollievo. I verbi scorrono meglio, la lingua si piega con meno fatica. Non servono acrobazie. Ma c’è anche qualcosa di più, che non ha a che fare con la grammatica. Scrivere al passato è come sedersi davanti al fuoco . Come quando da piccoli ci raccontavano storie che erano già accadute, e proprio per questo potevamo ascoltarle senza paura. Il passato dà respiro. Fa capire che tutto è già successo, e che ora si può raccontare. Il dolore è passato. Il desiderio anche. Ma resta qualcosa. Un’ombra, una traccia, una verità più chiara. Perché se scrivi al passato, stai già filtrando . Stai scegliendo cosa mostrare, cosa dimenticare. Stai raccontando come si fa con i sogni: con calma, un passo alla volta. Scrivere al passato è anche un modo per dare forma . Quando metti qualcosa al passato, gli dai un inizio e una fine. Lo fai esistere. Lo chiudi in una cornice. E per chi legge, quel tempo diventa subito tempo del...

🌌 Scrivere in cinque dimensioni

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Non basta sapere cosa succede. Per raccontare davvero una storia, devi vederla. Anzi: devi sentirla, annusarla, abitarla. Quando immagini una scena, prova a chiederlo a te stesso: Che odore c’è nell’aria? Di cosa sa la luce? Dove preme il dolore? Che rumore fa il silenzio? Scrivere non è solo dire cosa accade. È dire come si sta dentro quello che accade. I personaggi non si muovono in un vuoto bianco. Si muovono nello spazio. Uno spazio con muri, vento, oggetti. Con scale scricchiolanti o pioggia sui vetri. Uno spazio che respira insieme a loro. E non basta lo spazio: ci sono i colori, le temperature, la pelle che reagisce, lo stomaco che si stringe. Ci sono i sensi. Il corpo. L’anima. Una buona scena è tridimensionale. Una scena viva ne ha cinque o sei. Per questo, prima di scriverla, prova a vederla con tutti i sensi. Chiudi gli occhi. Entra lì dentro. Solo dopo, raccontala. --- 📎 Esercizio: Scrivi una scena in cui non succede “niente”. Nessuna azione importante. Solo un personaggio...

🗣️ L’io narrante: la voce che respira

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Quando scrivi in prima persona, succede qualcosa di strano. La voce sulla pagina comincia a respirare. Non racconta solo i fatti: li vive. Non spiega: sente. L’io narrante è familiare. Parla come potrebbe parlare un amico, o un diario, o quella parte nascosta che di solito tace. Può avere tic, memorie sbagliate, pudori, vergogne. Può mentire. E questo lo rende umano. Ma soprattutto: può stupirsi. Un narratore esterno spesso sa tutto. L’io, no. L’io scopre le cose con il lettore. Può restare senza parole. Può cambiare idea. Può cadere. E mentre cade, racconta. È una voce unica, anche quando parla di qualcosa di universale. Ha un suo modo di guardare. Di ricordare. Di scegliere cosa mostrare e cosa no. E non serve che dica “io” a ogni frase: basta che ci sia quel tono inconfondibile. Quello di chi sta mettendo insieme un pezzo di verità, un passo alla volta. --- 📎 Consiglio pratico: Scrivi un piccolo paragrafo in terza persona. Poi riscrivilo in prima. Cambia qualcosa? Dove vibra di più...

🎭 Lo spazio visivo: scrivere per occhi che immaginano

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  C’è un teatro invisibile, ogni volta che scriviamo. Ogni scena che creiamo si muove su un palcoscenico mentale. I personaggi entrano in scena, parlano, agiscono, tacciono. Ma attorno a loro? Attorno a loro c’è il mondo. E quel mondo va mostrato, anche solo con due pennellate. Perché è lì che la storia prende respiro. Quando scriviamo, dobbiamo chiederci:  dove siamo? Non in modo didascalico: non serve descrivere tutto, serve  scegliere . Un solo oggetto può raccontare un’intera stanza. Un rumore può evocare una città. Un’ombra può sostituire un personaggio. È la scrittura come scenografia: essenziale, evocativa, al servizio dell’atmosfera. Pensa al palco di un teatro: non è mai realistico. Non c’è un vero letto, ma un lenzuolo piegato con cura. Non c’è una vera strada, ma una luce blu e un suono di passi sul legno. Eppure ci crediamo, se è costruito bene. Lo stesso vale per la scrittura. Bastano  due dettagli giusti  per accendere tutto. Un racconto senza spaz...