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🧐 Lo scrittore è giudice o testimone?

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  Quando scriviamo, ci troviamo spesso in bilico tra due tentazioni: giudicare e giustificare. Ma forse lo scrittore non è né giudice né avvocato. È qualcosa di più scomodo: è uno che racconta. Uno che osserva, che entra nelle crepe, che ascolta anche chi non vorrebbe ascoltare. Uno che dà voce, non uno che assegna sentenze. Essere scrittori non significa assolvere o condannare i personaggi. Significa capirli. Perfino quando fanno schifo. Perfino quando fanno paura. Ecco perché i buoni scrittori sembrano contraddittori: raccontano un assassino e ci fanno provare empatia. Scrivono di un tradimento e ci costringono a capirne la solitudine. Non è giustificazione. È complessità. Lo scrittore giudica dopo, quando rilegge. Ma mentre scrive… deve ascoltare anche il lato sbagliato. ✏️ Esercizio: Scrivi una scena in cui un personaggio fa qualcosa di inaccettabile. Poi riscrivila dal suo punto di vista. Non per scusarlo. Ma per capirlo. Perché a volte, raccontare è l’unico modo per non giudi...

😈 L’importanza del cattivo

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Ogni storia ha bisogno di un’ombra. Il cattivo è l’altra faccia dell’eroe. Non è solo un ostacolo da superare. È uno specchio. Una domanda. Un pericolo che costringe il protagonista a diventare chi è davvero. Più il cattivo è forte, più la storia vibra. Più il cattivo è affascinante, più il protagonista deve scavare, lottare, cambiare. Un cattivo debole rende una storia fiacca. Un cattivo indimenticabile, invece, trasforma ogni pagina in una lotta necessaria. Il cattivo è spesso quello che non vorremmo ammettere di avere dentro: il rancore, l’ego, il desiderio di vendetta. Ma anche il carisma. La libertà assoluta. La parte che dice: “E se non obbedissi a niente?” Come scrisse Carl Jung: “ Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia. Ma prima o poi, chi guarda dentro deve fare i conti con la propria ombra.” Non c’è luce senza buio. Non c’è bene, se non c’è male. E forse non c’è storia che valga davvero, se non ci mette davanti a un cattivo che ci assomiglia un po’. Come diceva ...

✍️ Perché tifiamo sempre per i più sfigati

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  (e ci piace che finisca bene) C’è qualcosa di profondo — e anche di tenero — nel nostro amore per i protagonisti sfortunati. Quelli che cominciano male. Che perdono subito. Che non hanno genitori, né soldi, né fortuna. Eppure, pagina dopo pagina, riescono a rialzarsi. E noi, come lettori, siamo lì: a fare il tifo. Aristotele, già nella Poetica, lo aveva capito benissimo. Dice che a commuoverci davvero non è chi è buono e viene premiato, o chi è cattivo e viene punito. Ma chi cade senza meritarselo, chi sbaglia per errore, chi si ritrova nel fango con tutta la sua umanità addosso.  “ Il migliore tipo di tragedia rappresenta un uomo non del tutto virtuoso e giusto che cade nella disgrazia non per malvagità o depravazione, ma a causa di un errore. ”  Aristotele, Poetica, cap. XIII Quello è il momento in cui ci emozioniamo. Perché capiamo che poteva capitare anche a noi. Chi è l’ underdog ? È il personaggio che parte in svantaggio. Che ha tutto contro, ma non si arrende. No...

✍️ Elogio della perfetta imperfezione

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(ovvero: quanto sono noiosi quelli perfetti) C’è una cosa che dico spesso: la perfezione è noiosa . Inutile girarci intorno. I supereroi senza macchia mi fanno sbadigliare. I principi azzurri sono odiosi. E nella scrittura? Peggio ancora. Non sopporto i personaggi che sono sempre forti, invincibili, altruisti, generosi. Che fanno sempre la cosa giusta, al momento giusto, con la frase giusta. Ma chi è così? Nessuno. E se esistesse, francamente, non ci interesserebbe. Ci annoierebbe. Ci farebbe sentire sbagliati. E la letteratura non serve a farci sentire sbagliati. Serve a farci sentire umani. I personaggi perfetti non imparano niente. Non sbagliano. Non inciampano. Non amano davvero. Passano per la storia come se la vita fosse un tapis roulant: tutto dritto, niente attrito. Ma noi non siamo così. Noi ci contraddiciamo. Ci aggrappiamo alle cose sbagliate. Diciamo cose sbagliate e ci sentiamo in imbarazzo. Ci imbarazzano i nostri addominali da tartaruga rivesciata, i capelli che non stan...

🎭 Il protagonista: ascesa, caduta, rinascita

Tutti parlano di arco del personaggio. Di evoluzione. Di cambiamento. Ma per me, un protagonista non deve per forza diventare migliore. Deve solo diventare più vero . Nel mondo là fuori, c’è chi crolla e basta. Chi sbaglia, chi torna indietro. Chi si perde e non si ritrova mai. Chi è antipatico, chi proprio uno stronzo. Eppure anche loro meritano di esistere, di essere raccontati. Un buon protagonista non è un eroe. È qualcuno che sente, che si sporca, che lotta con i suoi mostri. E quando cambia — se cambia — non è perché lo dice la trama, ma perché qualcosa dentro si è spezzato o acceso. Fallo imperfetto. Fallo contraddittorio . Fallo umano : con paure che non sa nominare, con errori che si porta dietro, con quelle debolezze che ci fanno dire: “Ecco, potrei essere io.” Io li amo così, i protagonisti: quelli che cominciano convinti di avere ragione e finiscono con le ginocchia a terra, ma gli occhi più aperti. Quelli che inciampano cento volte. Che cadono male. Che si rialzano, ma non...

🎭 Vero o verosimile?

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Aristotele lo diceva nella Poetica : una storia non deve essere vera, deve essere verosimile. Non serve che sia accaduta, basta che, nel mondo in cui la racconti, possa accadere davvero. Non deve convincere la realtà, ma il lettore. Un personaggio verde, puzzolente, che odia il Natale, può sembrare folle. Ma se gli metti attorno un mondo che lo regge, se il tono è giusto, se la voce è coerente, allora diventa credibile. Funziona. Il lettore lo segue. Ci crede. Molto più inverosimile può essere un vicino di casa troppo buono, troppo piatto, troppo uguale a cento altri. Un personaggio che non ha crepe, non ha corpo, non sbaglia. E quindi non esiste. La verosimiglianza non ha niente a che fare col realismo. È questione di tensione interna, di coerenza, di scelte. È una regola non scritta: se mentre leggi ti suona tutto giusto, anche l’assurdo diventa accettabile. Se invece anche solo una frase stride, crolla tutto. Un personaggio verosimile non è perfetto, ma vive. Esita, sbaglia, si...

👁️ I tratti che raccontano

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Vengo da una terra dove bastava un segno, un dettaglio, per riconoscerti per sempre. Ti chiamavano Baffino , Luna (per la testa grossa), Merlino (per le gambe secche) e nessuno chiedeva altro. Era il modo in cui il corpo parlava prima del nome. Quando scrivete un personaggio, pensateci. Non servono due pagine di descrizione; bastano due tratti, ma giusti. Quelli che fanno immaginare una persona. Quelli che la dicono . Magari ha una fronte sempre aggrottata. O le mani piccole e nervose. Magari ha una voce rauca anche quando è calmo. Non descrivetelo come se steste facendo l’identikit per la polizia. Fatelo vivere attraverso un dettaglio che resta. E metteteci qualcosa di vostro. Il mio protagonista ha gli occhi grandi, color nocciola. Perché so cosa significa avere quegli occhi: come si muovono, come si abbassano, come si espongono. Faccio fatica per esempio, a scrivere di troppo belli. Non so cosa si prova a essere belli, a essere guardati con desiderio appena si entr...

🎭 I personaggi come amici veri

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Henrik Ibsen raccontava che, prima del primo schizzo, conosceva appena i suoi personaggi, quasi come incontrasse persone in un viaggio in treno. Nella seconda bozza li frequentava come se fosse rimasto insieme a loro, per settimane in una spa. Solo alla terza li vedeva «come amici intimi» persone con cui aveva ormai condiviso tempo, silenzi, sguardi. Ecco il punto: se vuoi scrivere un personaggio vivo, non ti basta sapere il suo nome, il colore degli occhi, o cosa fa nella vita. Devi conoscerlo come conosci il tuo migliore amico . Non solo quello che direbbe, ma quello che farebbe in una situazione estrema. Non solo cosa gli piace, ma cosa lo manda fuori di testa. Per chi vota ma anche per cosa cambierebbe idea. Devi sapere qual è il suo punto debole, anche quando lui cerca di nasconderlo. Più lo conosci, più potrai lasciarlo libero. E più sarà vivo sulla pagina. Perché ti sorprenderà. Perché farà qualcosa che non avevi previsto, ma che — in fondo — aveva sempre dentro. E tu lo sap...