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Visualizzazione dei post con l'etichetta Scrivere per guarire

🔏 scrivere contro il tempo

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  C’è un tempo che scappa. Un tempo che spinge. Un tempo che non basta mai. Viviamo con l’orologio addosso, e a volte anche dentro. Abbiamo agende, notifiche, scadenze, conti alla rovescia. E ci convinciamo che scrivere sia un lusso per quando “avremo tempo”. Ma scrivere è il tempo che ci prendiamo. È un gesto di resistenza. Una sottrazione. È dire:  “ Questo momento è mio, e non te lo do. ” Scrivere contro il tempo non significa vincerlo. Significa sospenderlo. Anche solo per un attimo. Anche solo per una frase. Quando scrivi, il tempo smette di essere nemico. Diventa carta. Diventa spazio dove non corri più. A volte scriviamo proprio per rallentare la corsa. Per fermare qualcosa prima che svanisca. Un’emozione. Un pensiero. Una persona. Altre volte scriviamo per ricordare chi eravamo. O per immaginare chi potremmo essere. Scrivere è l’unica macchina del tempo che funziona senza scienza. Ti porta indietro, avanti, dentro. Chi scrive, ogni tanto, si salva. Non dal tempo. Ma da...

🪶 Scrivere con ironia (e perché ci salverà la vita)

 Ci sono scrittori che si prendono così sul serio che ti viene voglia di abbracciarli… per scuoterli. Ogni riga è un proclama, ogni dialogo una sentenza, ogni personaggio un profeta. E il lettore? Annega. Affoga in un mare di gravità, senza nemmeno una ciambella di sarcasmo. L’ironia, invece, è una zattera leggera, costruita con il legno dei propri difetti. Chi sa usarla non nega il dolore, ma lo guarda di sbieco. Non lo traveste da farsa, ma lo racconta senza paura di sembrare imperfetto. È onesto, eppure brillante. E poi c’è l’autoironia. Lì si fa sul serio. Perché ci vuole coraggio a dire: “Sono stato un cretino, e ti racconto come.” Non per sminuirsi, ma per liberarsi dal peso dell’ego. Chi scrive con autoironia è più umano, più vero, più vicino a chi legge. E molto, molto meno noioso. Anche nei racconti più drammatici, chi ha una vena ironica si sente, si respira. È quella brezza lieve che passa tra una pagina e l’altra e ti fa dire: “Sì, questo scrittore conosce il dolore, ma...

🧹 Scrivere per fare ordine

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  La mia compagna è bravissima a fare elenchi. Ne scrive di bellissimi e su ogni argomento. Cose da comprare,  ricordi che fanno innamorare, emozioni da provare, parole da dire, comportamenti da evitare, sogni da non dimenticare. C'è un ordine nella sua scrittura che ho sempre invidiato. Un ordine apparente forse, e decisamente particolare. Ma è comunque un faro nel caos. Io invece, ho sempre scritto come se stessi buttando secchiate d’acqua fuori da una barca. Lei no. Lei dispone. Lei sistema. Ogni parola al suo posto, ogni spesa nella sua busta, ogni voce nel suo quaderno. E allora ho cominciato a guardare gli elenchi con altri occhi. Non più come cose banali. Ma come tentativi di salvezza. Perché anche un elenco è letteratura. Anche una lista può essere poesia. Ogni punto è una pausa. Ogni voce è un’unità di senso. È dire al mondo: “Qui c’è troppa confusione. Provo a fare un po’ d’ordine.” Scrivere per mettere ordine non vuol dire diventare perfetti. Vuol dire trovare un se...

📝 Perdonarsi (scrivendo)

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  Certe ferite non ce le hanno lasciate gli altri. Ce le siamo fatte da soli. Con parole dette male, decisioni rimandate, scelte sbagliate che abbiamo difeso con le unghie. Con quei giorni in cui sapevamo cosa fare eppure abbiamo fatto il contrario. A volte ci perdonano tutti. Ma noi no. Noi ci teniamo il senso di colpa come una seconda pelle. Scrivere allora diventa un modo per guardarci in faccia. Per fare pace, senza scuse. Per dire: “Sì, ho sbagliato. Eppure eccomi qui. Intero abbastanza per raccontarlo.” Non per cancellare, non per dimenticare. Ma per dare un posto alle cose. Un nome, un contorno, una voce. Una pagina bianca non ti accusa. Non ti umilia. Ti accoglie. E basta. Puoi scrivere al te stesso che eri, quello che ha sbagliato, che ha avuto paura, che non ce l’ha fatta. E dirgli: “Ti ho visto.” “Non ce la facevi.” “Ma sto cercando di perdonarti.” Non serve essere perfetti per meritarsi amore. Nemmeno il proprio. Scrivere è uno dei pochi modi puliti che abbiamo per iniz...

🧸 Scrivere per tornare bambini (e magari restarci)

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  Da piccoli si scriveva per il gusto di farlo. Perché un giorno ti svegliavi e volevi raccontare la storia di un leone e la sua amicizia con un frigorifero da picnic. O di un astronauta che si era perso al supermercato. O di una maestra che di notte si trasformava in pipistrello. E nessuno ti diceva che era “poco credibile”. Anzi, ti davano pure un bel “bravo” e i soldi per un pacchetto di figurine. Poi siamo cresciuti. E la scrittura è diventata una cosa seria. Con la punteggiatura, lo stile, il pubblico da immaginare. E intanto, il nostro drago con l’asma ha smesso di sputare fuoco. Ecco, scrivere per guarire significa anche questo: tornare a quando le storie non dovevano servire a niente. Solo a divertirti. A sentirti leggero. A inventare mondi migliori.  Non c’è cura più dolce che ridere con le parole. 📝 ESERCIZIO Scrivi una storia assurda, tenera, buffa. Con almeno: un animale parlante, un oggetto animato e un bambino che salva il mondo (o almeno il quartiere). Non chie...

✍️ Lettere dallo specchio

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  Scrivere a sé stessi è come guardarsi negli occhi dopo troppo tempo. All’inizio ti scansi. Abbassi lo sguardo. Fai finta di niente. Poi, se hai coraggio, resti lì. E guardi. Non scriviamo mai davvero a noi stessi. Scriviamo lettere d’amore a chi non ci ama. Lettere di rabbia a chi non leggerà mai. Lettere di scuse, di accuse, di rimpianti. Ma a noi? Quasi mai. Eppure siamo gli unici che ci sono sempre. Gli unici che sappiamo davvero come stiamo. Anche quando mentiamo. Scrivere a sé stessi non è una follia. È un atto di presenza. Una carezza, una sveglia, una domanda lasciata lì. “Come stai?” “Che fine hai fatto?” “Dove sei finito?” Io lo facevo molto anni fa. Senza dirlo a nessuno. Su un quaderno che nascondevo come un segreto. Non erano belle. Ma erano vere. E bastava. Scrivere a sé stessi è come lasciare biglietti in casa per quando non ci saremo. O per quando saremo tornati. È un modo per dirci: “Ti vedo. Anche se sei a pezzi. Anche se non parli. Anche se ti stai nascondendo.”...

✍️ Scrivere quando non ce la fai

(e farlo lo stesso) Scrivere quando sei ispirato è facile. Scrivere quando sei in pace, pure. Ma quando sei stanco, quando non ne hai voglia, quando la testa è piena di altro — lì si gioca la partita vera. A volte arrivo alla sera che non voglio nemmeno parlare. Figuriamoci scrivere. Eppure lo faccio. Non sempre bene, non sempre tutto. Ma lo faccio. Magari solo una frase. Una nota sul telefono. Una bestemmia poetica contro il mondo. Perché scrivere non è una scelta elegante. È una forma di resistenza. Scrivere mentre la casa dorme. Scrivere in piedi, aspettando il treno. Scrivere mentre lotti con te stesso che ti dice "non serve, non vale, non uscirà mai niente di buono". E invece qualcosa esce. Sempre. Anche se è storto. Anche se lo butterai. Anche se ti dirai “che schifo”. Scrivere quando non puoi è il modo più sincero per dirti: "Tu ci sei. Ancora." Non ci sono trucchi. Solo carta. O schermo. O un muro, se serve. Ma qualcosa da scrivere, c’è sempre. 📝 ESERCIZIO ...

✍️ Scrivere a chi non c’è più

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Scrivere a chi non c’è più è come parlare nel buio. Non ti risponderanno. Ma tu lo fai lo stesso. Perché certe parole servono a te , non a loro. Servono a mettere un confine al dolore. A dargli una forma. Non scrivi per commuovere. Non scrivi per far poesia. Scrivi per non dimenticare la voce, le abitudini, le piccole cose. Il modo in cui si sedevano. Le battute che facevano. I silenzi. Scrivi per fissare tutto. Perché hai paura che svanisca. E invece scrivere tiene vivo. Tiene viva una parte di te. Quella che ha amato. Quella che ha perso. Quella che è sopravvissuta. Non è facile. Certe frasi fanno male solo a pensarle. Ma quando le scrivi, fanno un po’ meno paura. Scrivere non cura tutto. Ma cura abbastanza da farti andare avanti . 🎯 Esercizio di scrittura: Lettera che non leggeranno mai Scrivi una lettera a una persona che non c’è più. Dille quello che non hai detto. O quello che ripeti ogni giorno, solo nella testa. Non farla bella. Falla vera. Una lettera che...

🪄Scrivere per guarire

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Non sempre si scrive per pubblicare. Non per far colpo, non per dimostrare. Spesso si scrive semplicemente per se stessi. Scrivere è rifugio. È quell’ora rubata alla fatica, quel momento tutto tuo in una giornata che non ti appartiene. È un luogo sicuro dove puoi dire tutto, anche quello che fuori non riesci a dire nemmeno a chi ami. Le parole sono carezze, ma anche bisturi. Fanno bene, ma fanno male. Tirano fuori la roba che fa peso da anni. La metti lì, nera su bianco, e anche se non la risolvi, almeno la guardi in faccia. Scrivere è un modo per sopportare. Un modo per non perdere la bussola, per darsi una direzione anche quando fuori tutto gira storto. È come urlare, ma piano. È come curarsi senza medicine. Si scrive per guarire. Non del tutto. Non per sempre. Ma abbastanza da continuare. Da respirare. Da non sentirsi più soli.