✍️ Lettere dallo specchio
Scrivere a sé stessi è come guardarsi negli occhi dopo troppo tempo.
All’inizio ti scansi. Abbassi lo sguardo. Fai finta di niente.
Poi, se hai coraggio, resti lì. E guardi.
Non scriviamo mai davvero a noi stessi.
Scriviamo lettere d’amore a chi non ci ama.
Lettere di rabbia a chi non leggerà mai.
Lettere di scuse, di accuse, di rimpianti.
Ma a noi? Quasi mai.
Eppure siamo gli unici che ci sono sempre.
Gli unici che sappiamo davvero come stiamo.
Anche quando mentiamo.
Scrivere a sé stessi non è una follia.
È un atto di presenza.
Una carezza, una sveglia, una domanda lasciata lì.
“Come stai?”
“Che fine hai fatto?”
“Dove sei finito?”
Io lo facevo molto anni fa.
Senza dirlo a nessuno.
Su un quaderno che nascondevo come un segreto.
Non erano belle.
Ma erano vere.
E bastava.
Scrivere a sé stessi è come lasciare biglietti in casa per quando non ci saremo.
O per quando saremo tornati.
È un modo per dirci:
“Ti vedo. Anche se sei a pezzi. Anche se non parli. Anche se ti stai nascondendo.”
Non serve capire tutto.
Basta iniziare.
Con una frase.
Una domanda.
Una pagina che non giudica.
📝 ESERCIZIO
Prenditi dieci minuti.
Spegni tutto.
Apri una pagina bianca.
Scrivi una lettera a te stesso.
A quello che sei oggi.
Non al bambino che eri, né all’adulto che speravi di diventare.
A te, adesso.
Chiedi come stai.
Come va davvero.
Digli quello che non ti dici mai.
Confessa.
Consola.
Accusa, se serve.
Perdona, se riesci.
Scrivi come se fosse l’ultima possibilità di dirti la verità.
Non rileggere subito.
Aspetta.
Poi, se vuoi, leggila come se l’avessi ricevuta da un amico.
E chiediti:
Come ti senti, adesso?
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