🎭 Vero o verosimile?



Aristotele lo diceva nella Poetica: una storia non deve essere vera, deve essere verosimile. Non serve che sia accaduta, basta che, nel mondo in cui la racconti, possa accadere davvero. Non deve convincere la realtà, ma il lettore.

Un personaggio verde, puzzolente, che odia il Natale, può sembrare folle. Ma se gli metti attorno un mondo che lo regge, se il tono è giusto, se la voce è coerente, allora diventa credibile. Funziona. Il lettore lo segue. Ci crede.

Molto più inverosimile può essere un vicino di casa troppo buono, troppo piatto, troppo uguale a cento altri. Un personaggio che non ha crepe, non ha corpo, non sbaglia. E quindi non esiste.

La verosimiglianza non ha niente a che fare col realismo. È questione di tensione interna, di coerenza, di scelte. È una regola non scritta: se mentre leggi ti suona tutto giusto, anche l’assurdo diventa accettabile. Se invece anche solo una frase stride, crolla tutto.

Un personaggio verosimile non è perfetto, ma vive. Esita, sbaglia, si contraddice. Fa cose impreviste, ma che dentro di lui erano già pronte. Non lo devi spiegare. Lo devi sentire.

Se vuoi allenarti, prova così: inventa un personaggio impossibile. Un vecchio che si crede un piccione. Una donna che non può guardare il cielo. Un ragazzino che parla con le caffettiere. E poi scrivi una scena dove esiste davvero. Non giustificarlo. Fallo vivere. Fallo muovere nel suo mondo. Se chi legge ci crede, hai fatto centro.

Se ci riesci, stai scrivendo sul serio.


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