🤔 L’incipit: la miccia della storia

 


L’incipit è come un tagliolino al tartufo. Pochi ingredienti, preparazione semplice. Ma il risultato può essere sublime o una palla di pasta. Basta un attimo. 

L'incipit deve catturare. Colpire. Trattenere.

Ma senza dirti tutto. Senza strafare.

È come l’attacco di una canzone: deve farti tendere l’orecchio, fermare il passo, rimanere lì.

In un’epoca in cui il lettore ha la soglia d’attenzione di un criceto, quella prima paginetta può essere la sorte del romanzo..

O quasi.

L’incipit deve essere tensione.

Energia che accende il motore.

Una mano che si allunga nella nebbia e ti dice: “Seguimi, ma non parlare. Non ancora.”

Personalmente non amo monologhi esistenziali, raffinate descrizioni meteorologiche, genealogie, sole che sorge sulle colline, notti buie e tempestose.

Ci vuole una promessa. E l’odore del mistero.

A me piace far squillare il telefono, ancora si drizzano a tutti le antenne quando squilla il telefono.  

Ma l’incipit più bello che abbia mai letto è questo:


 «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione,

il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio

in cui suo padre lo condusse a conoscere il ghiaccio.»


Una frase. Tre piani temporali. Una minaccia, un padre, il ghiaccio.

Ecco, meditate gente… meditate. (E mi vergogno un po' di aver scritto una frase così vintage).

Poi magari, provate a scrivere il vostro.

Accendete la miccia.

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