📌… e tutte le cose che non diciamo

Scrivere con i puntini di sospensione


I puntini di sospensione sono diventati parte della nostra vita.

Li trovi ovunque: nelle chat, nei messaggi, nei post, nei commenti, nelle note vocali trascritte in fretta.

Sono diventati un’abitudine.

Una scorciatoia.

Un modo per lasciare in sospeso, per alludere, per non prendersi la responsabilità di chiudere una frase.

«Vediamo…»

«Boh…»

«Come vuoi tu…»


Ma scrivere è anche decidere.

E i puntini, se usati troppo, smettono di suggerire il non detto e iniziano solo a confondere.

Grammaticamente, i puntini servono per interrompere. Per creare attesa, esitazione, silenzio.

Narrativamente, sono uno spazio bianco che dice più di mille parole.

Ma proprio per questo, vanno usati con rispetto.


Tre puntini veri hanno un peso.

Sono un respiro trattenuto, uno sguardo che si abbassa, una parola che rimane in gola.

E non ce ne vogliono cinque, o dieci, o quindici.

Ne bastano tre. Sempre.

Non è un effetto grafico: è un gesto preciso. Un accordo col lettore.

Ricordati lo spazio dopo i tre puntini... 

Ricordati che la maiscola si usa quando i puntini chiudono un periodo e la frase successiva è indipendente.

Non aveva più nulla da dire… Il silenzio riempì la stanza.

Ricordati che la minuscola si usa quando la frase continua direttamente, come se fosse sospesa.

Se solo avesse detto qualcosa… forse le cose sarebbero andate diversamente.


Chi scrive deve sapere che ogni sospensione è una scelta.

E che ogni silenzio, sulla pagina, fa rumore.

Per questo: usali. Ma con grazia.

Altrimenti non sospendi più nulla: lasci solo una frase senza il coraggio di finire.

Scrivere bene è anche togliere. E i puntini, se non servono, sono le prime cose da lasciare andare.

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