🐟 Come immergere un lettore
Ci sono libri minuscoli che contengono oceani.
Il vecchio e il mare di Hemingway è uno di questi.
Poche pagine, quasi nessun dialogo, una storia che potresti riassumere con una frase: un vecchio pescatore esce in mare e lotta con un pesce enorme.
Eppure, quando lo leggi, ti ritrovi sull’acqua cubana, con quell’odore di sale addosso, con la pelle bruciata dal sole e il ritmo cadenzato dell'onda.
Hemingway non ti porta dentro con descrizioni infinite, non spreca parole.
Ti immerge perché sa aspettare.
Sa lasciare che la tensione cresca come una corda che si tende piano.
Prima l’attesa.
Poi la lotta.
Poi la natura che diventa personaggio, respiro, destino.
E il lettore ci cade dentro senza accorgersene.
Non la descrizione del vecchio ma il modo in cui il vecchio parla al suo stesso corpo.
Non la descrizione del pesce, ma la forza che gli tira il braccio dalle ossa.
Non il mare, ma il mare che risponde.
Per immergere un lettore non serve scrivere tanto.
Serve scrivere così vicino che la pagina non sembra più carta, ma pelle.
Non “era una giornata difficile”; era il nodo alla mano, la lenza che scotta, la barca che cigola come una vecchia creatura viva.
Non “era solo”; ma il suo parlare a un pesce come fosse un fratello.
Non “era stanco”; ma il tremito che non vuole ammettere.
Hemingway ci entra così: non dicendo cosa senti, ma facendotelo sentire.
Ed è per questo che un libriccino così corto può contenere un mare intero: perché non ti racconta la storia.
Ti ci getta dentro.

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