Post

✍️ Scrivere stanca

Immagine
Scrivere stanca. Non nel senso romantico. Ma proprio nel senso fisico. Stanca come un turno lungo, come una notte corta, come un pensiero che non ti molla mentre fai altro. Io scrivo quando posso. Dopo il lavoro, sulla metro, nei ritagli, la sera tardi. Scrivo da autodidatta, da solo, da anni. Leggo, studio, sbaglio. Ma continuo. Perché certe storie ti bussano dentro e non ti danno tregua finché non le scrivi. E fanno un gran bene. Questo spazio nasce per questo: per chi scrive anche se ha poco tempo. Per chi non ha fatto scuole di scrittura ma sente il bisogno di raccontare. Per chi scrive a margine della vita, ma non lo considera un margine. Qui troverai riflessioni brevi, spunti, esercizi, domande. Niente formule magiche, niente guru. Solo parole oneste, scritte tra una fatica e l’altra. Condivido quello che ho imparato sul campo, da solo, spesso sbagliando. Con tutta l’umiltà possibile. Se anche tu scrivi con la testa stanca ma il cuore acceso, sei nel posto giusto.   Una riga ...

✍️ Perché tifiamo sempre per i più sfigati

Immagine
  (e ci piace che finisca bene) C’è qualcosa di profondo — e anche di tenero — nel nostro amore per i protagonisti sfortunati. Quelli che cominciano male. Che perdono subito. Che non hanno genitori, né soldi, né fortuna. Eppure, pagina dopo pagina, riescono a rialzarsi. E noi, come lettori, siamo lì: a fare il tifo. Aristotele, già nella Poetica, lo aveva capito benissimo. Dice che a commuoverci davvero non è chi è buono e viene premiato, o chi è cattivo e viene punito. Ma chi cade senza meritarselo, chi sbaglia per errore, chi si ritrova nel fango con tutta la sua umanità addosso.  “ Il migliore tipo di tragedia rappresenta un uomo non del tutto virtuoso e giusto che cade nella disgrazia non per malvagità o depravazione, ma a causa di un errore. ”  Aristotele, Poetica, cap. XIII Quello è il momento in cui ci emozioniamo. Perché capiamo che poteva capitare anche a noi. Chi è l’ underdog ? È il personaggio che parte in svantaggio. Che ha tutto contro, ma non si arrende. No...

✍️ Elogio della perfetta imperfezione

Immagine
(ovvero: quanto sono noiosi quelli perfetti) C’è una cosa che dico spesso: la perfezione è noiosa . Inutile girarci intorno. I supereroi senza macchia mi fanno sbadigliare. I principi azzurri sono odiosi. E nella scrittura? Peggio ancora. Non sopporto i personaggi che sono sempre forti, invincibili, altruisti, generosi. Che fanno sempre la cosa giusta, al momento giusto, con la frase giusta. Ma chi è così? Nessuno. E se esistesse, francamente, non ci interesserebbe. Ci annoierebbe. Ci farebbe sentire sbagliati. E la letteratura non serve a farci sentire sbagliati. Serve a farci sentire umani. I personaggi perfetti non imparano niente. Non sbagliano. Non inciampano. Non amano davvero. Passano per la storia come se la vita fosse un tapis roulant: tutto dritto, niente attrito. Ma noi non siamo così. Noi ci contraddiciamo. Ci aggrappiamo alle cose sbagliate. Diciamo cose sbagliate e ci sentiamo in imbarazzo Ci imbarazzano i nostri addominali da tartaruga rivesciata, i capelli che non stann...

📚 Aristotele e il cuore segreto delle storie

Immagine
(ovvero: perché la Poetica ci riguarda ancora) C’è un momento, leggendo la Poetica di Aristotele, in cui smetti di pensare all’antica Grecia. Smetti di immaginare teatri con le colonne, tuniche bianche, filosofi barbuti. E inizi a pensare a te. Alla tua scrittura. Alla tua storia. Alla tua voglia di raccontare qualcosa che tenga insieme caos e significato. Perché quello che fa Aristotele, nella Poetica, è esattamente questo: ci ricorda che scrivere è un atto di costruzione, ma anche di compassione. Che una buona trama non è solo un intreccio di eventi, ma un modo per farci sentire catarsi: quel miscuglio di paura e pietà che ci lascia migliori, anche solo per un attimo. > “L’arte non imita ciò che è, ma ciò che potrebbe essere.” (Aristotele, Poetica) Non esiste un manuale di scrittura più vero e vivo, nonostante l'età.  E no, non serve aver fatto il classico per leggerla. Basta voler raccontare. Basta sapere che ogni essere umano, da sempre, si siede accanto al fuoco per ascolta...

📖 Il congiuntivo che ci guarda deluso

C'è un momento preciso in cui capisci che stai diventando adulto. Non è quando paghi l'affitto. Non è quando ti compri un'automobile. È quando cominci a usare bene il congiuntivo. "Se io sarei felice..." No, amore mio. Non sei felice. Sei confuso. Il congiuntivo non è un capriccio da maestrine. È la grammatica del dubbio, della possibilità, della paura, della speranza. È il modo verbale delle emozioni complesse. È il modo di chi sa che la realtà non è una linea retta, ma un punto interrogativo. “Vorrei che tu capissi.” “Temo che non venga.” “Credo che potremmo farcela.” È musica, non matematica. Chi scrive non può farne a meno. Perché chi scrive, se scrive davvero, sta sempre un po' tra ciò che è e ciò che potrebbe essere. Il congiuntivo serve a stare lì in mezzo. A non decidere subito. A sentire. È la forma verbale di chi non ha certezze, ma ha il coraggio di cercare.  Di chi non impone, ma propone.  Di chi non dice: “È così”, ma sussurra: “E se fosse così?” ...

🪶 Scrivere con ironia (e perché ci salverà la vita)

 Ci sono scrittori che si prendono così sul serio che ti viene voglia di abbracciarli… per scuoterli. Ogni riga è un proclama, ogni dialogo una sentenza, ogni personaggio un profeta. E il lettore? Annega. Affoga in un mare di gravità, senza nemmeno una ciambella di sarcasmo. L’ironia, invece, è una zattera leggera, costruita con il legno dei propri difetti. Chi sa usarla non nega il dolore, ma lo guarda di sbieco. Non lo traveste da farsa, ma lo racconta senza paura di sembrare imperfetto. È onesto, eppure brillante. E poi c’è l’autoironia. Lì si fa sul serio. Perché ci vuole coraggio a dire: “Sono stato un cretino, e ti racconto come.” Non per sminuirsi, ma per liberarsi dal peso dell’ego. Chi scrive con autoironia è più umano, più vero, più vicino a chi legge. E molto, molto meno noioso. Anche nei racconti più drammatici, chi ha una vena ironica si sente, si respira. È quella brezza lieve che passa tra una pagina e l’altra e ti fa dire: “Sì, questo scrittore conosce il dolore, ma...

📌 Tutte le storie sono d’amore (anche quelle che non sembrano)

Immagine
Non tutte le storie parlano di baci. Ma tutte, in fondo, nascono da un amore . Non solo per qualcuno. Ma per qualcosa. Un’idea. Una domanda. Una ferita. Una bellezza nascosta. Una scintilla che accende la ricerca. Perché l’amore non è solo sentimento. È curiosità . È slancio verso . È azione . Quando una storia ci prende, è perché c’è dentro un desiderio. Un personaggio che cerca. Che rischia. Che perde e ricomincia. Anche in un noir, anche in un horror, anche in un saggio: c’è un cuore che pulsa. E chi scrive? Chi scrive deve essere innamorato . Innamorato di ciò che racconta. Perché solo chi ama riesce a trasmettere amore. Anche se lo traveste da rabbia. Anche se lo chiama rivoluzione. Tutte le storie sono d’amore. Anche la tua. — 🔎 E ora chiediti questo: Racconta una scena dove non c’è amore. Dove ogni gesto è meccanico, ogni voce spenta, ogni sguardo altrove. Dove nessuno cerca. Nessuno rischia. Dove tutto è già deciso, e niente vale la pena. Raccontala bene. Sentirai freddo. E ca...

🧹 Scrivere per fare ordine

Immagine
  La mia compagna è bravissima a fare elenchi. Ne scrive di bellissimi e su ogni argomento. Cose da comprare,  ricordi che fanno innamorare, emozioni da provare, parole da dire, comportamenti da evitare, sogni da non dimenticare. C'è un ordine nella sua scrittura che ho sempre invidiato. Un ordine apparente forse, e decisamente particolare. Ma è comunque un faro nel caos. Io invece, ho sempre scritto come se stessi buttando secchiate d’acqua fuori da una barca. Lei no. Lei dispone. Lei sistema. Ogni parola al suo posto, ogni spesa nella sua busta, ogni voce nel suo quaderno. E allora ho cominciato a guardare gli elenchi con altri occhi. Non più come cose banali. Ma come tentativi di salvezza. Perché anche un elenco è letteratura. Anche una lista può essere poesia. Ogni punto è una pausa. Ogni voce è un’unità di senso. È dire al mondo: “Qui c’è troppa confusione. Provo a fare un po’ d’ordine.” Scrivere per mettere ordine non vuol dire diventare perfetti. Vuol dire trovare un se...

📖 Furore - John Steinbeck

Immagine
  Quando la scrittura ti cammina addosso . Ci sono libri che non leggi. Ti leggono loro. Ti guardano in faccia e ti dicono: “Così si scrive. Così si racconta.” E tu, da scrittore, ti senti piccolo piccolo. Furore di John Steinbeck è uno di quei libri. Ti prende per le spalle e ti costringe a guardare la miseria, la fame, la dignità e la disperazione con una prosa che non si concede nulla. Niente fronzoli, niente scene madri. Solo la verità, raccontata con parole così giuste da sembrarti inevitabili. La grandezza di Steinbeck è tutta lì. Non ti urla in faccia, ti scava dentro. Con periodi semplici, ma mai banali. Con dialoghi che sembrano presi dalla bocca della terra. Con descrizioni asciutte eppure poetiche, capaci di rendere un campo di polvere più epico di mille battaglie. E poi c’è il finale. Quella scena che non anticipo, ma che ti resta addosso come un graffio, un gesto di pietà che è anche un urlo. Un finale che non chiude, ma apre. E ti insegna, senza insegnarti, che la scr...

: Il potere dei due punti

 ( Quando vuoi dire qualcosa, ma vuoi che arrivi come un colpo secco. ) C’è un momento, nella scrittura, in cui qualcosa sta per succedere. Un respiro. Una tensione. Qualcosa da dire che deve arrivare dritto. È lì che entrano in gioco loro: i due punti. Spesso sottovalutati, spesso confusi con un elenco della spesa. Ma i due punti non servono solo a introdurre un elenco. Servono a preparare il colpo. > Scrivere è come respirare: necessario. Non mi ascoltava: urlavo solo dentro. C'era solo una cosa da fare: andare via. I due punti sono la stretta prima dello strappo. La mano che ti prende prima di mollarti in una verità. Un piccolo tamburo. Una pausa che promette. Nella grammatica, introducono una spiegazione, una conseguenza, una rivelazione. Nella vita, spesso fanno lo stesso. E nei dialoghi? Anche lì sono preziosi. I due punti indicano che sta per parlare qualcuno, in modo chiaro e pulito. Specie nei testi teatrali, ma anche nella narrativa asciutta: > Lei disse: «Non è com...

📝 Perdonarsi (scrivendo)

Immagine
  Certe ferite non ce le hanno lasciate gli altri. Ce le siamo fatte da soli. Con parole dette male, decisioni rimandate, scelte sbagliate che abbiamo difeso con le unghie. Con quei giorni in cui sapevamo cosa fare eppure abbiamo fatto il contrario. A volte ci perdonano tutti. Ma noi no. Noi ci teniamo il senso di colpa come una seconda pelle. Scrivere allora diventa un modo per guardarci in faccia. Per fare pace, senza scuse. Per dire: “Sì, ho sbagliato. Eppure eccomi qui. Intero abbastanza per raccontarlo.” Non per cancellare, non per dimenticare. Ma per dare un posto alle cose. Un nome, un contorno, una voce. Una pagina bianca non ti accusa. Non ti umilia. Ti accoglie. E basta. Puoi scrivere al te stesso che eri, quello che ha sbagliato, che ha avuto paura, che non ce l’ha fatta. E dirgli: “Ti ho visto.” “Non ce la facevi.” “Ma sto cercando di perdonarti.” Non serve essere perfetti per meritarsi amore. Nemmeno il proprio. Scrivere è uno dei pochi modi puliti che abbiamo per iniz...

📚 Story - Robert McKee

Immagine
    📚 Il terzo vertice del triangolo sacro Dopo L’arte della scrittura drammaturgica di Egri (la Bibbia ) e On Writing di Stephen King (le Tavole della Legge ), “Story” di McKee è il terzo vertice del triangolo sacro per chi scrive. Se Egri ti insegna la struttura, se King ti fa amare il processo, McKee ti porta nel cuore della storia . Come se ti accompagnasse in una cattedrale e ti dicesse: “Guarda, ascolta, rispetta.” Story è molto più di un manuale di sceneggiatura. È un viaggio lucido, rigoroso e pieno d’amore per l’arte di raccontare. Vale per il cinema, certo, ma anche per chi scrive narrativa, racconti, monologhi o diari. Non ti promette formule magiche. Non ti coccola. Ti dà strumenti veri , e ti chiede onestà. McKee insiste su alcune verità sacrosante: Tutte le belle storie vivono in un mondo limitato e conoscibile. Non puoi scrivere ovunque. La tua storia ha bisogno di confini. Non è la descrizione a definire un personaggio, ma le sue scelte. La...

🧸 Scrivere per tornare bambini (e magari restarci)

Immagine
  Da piccoli si scriveva per il gusto di farlo. Perché un giorno ti svegliavi e volevi raccontare la storia di un leone e la sua amicizia con un frigorifero da picnic. O di un astronauta che si era perso al supermercato. O di una maestra che di notte si trasformava in pipistrello. E nessuno ti diceva che era “poco credibile”. Anzi, ti davano pure un bel “bravo” e i soldi per un pacchetto di figurine. Poi siamo cresciuti. E la scrittura è diventata una cosa seria. Con la punteggiatura, lo stile, il pubblico da immaginare. E intanto, il nostro drago con l’asma ha smesso di sputare fuoco. Ecco, scrivere per guarire significa anche questo: tornare a quando le storie non dovevano servire a niente. Solo a divertirti. A sentirti leggero. A inventare mondi migliori.  Non c’è cura più dolce che ridere con le parole. 📝 ESERCIZIO Scrivi una storia assurda, tenera, buffa. Con almeno: un animale parlante, un oggetto animato e un bambino che salva il mondo (o almeno il quartiere). Non chie...

📝 Gli errori da Bischeri

(E come evitarli, se vuoi scrivere senza fare figuracce) Chi erano i Bischeri? A Firenze, " bischero " è sinonimo di ingenuo, sprovveduto, a volte proprio sciocco. Ma non nasce a caso. I Bischeri erano una ricca e potente famiglia fiorentina, i cui terreni sorgevano lì dove oggi si trova il Duomo di Santa Maria del Fiore. Quando la città decise di costruire la Cattedrale, i Bischeri rifiutarono di vendere, sperando in un’offerta migliore. Risultato? I loro edifici furono distrutti da un incendio, persero tutto e dovettero scappare. E così, da secoli, a Firenze si dice: “Non fare il bischero.” Come dire: non fare errori stupidi per presunzione o disattenzione. E nel mondo della scrittura, ce ne sono tanti. Eccoli. --- ✍️ Gli errori da Bischeri (che rovinano anche i testi più belli) 📌 1. “Un’ amica” con l’apostrofo staccato ❌ Un’ amica ✅ Un’amica 👉 L’apostrofo non si separa mai dalla parola che accompagna. È un tutt’uno. Niente spazio. --- 📌 2. "Un altro" con l’apo...

✍️ Lettere dallo specchio

Immagine
  Scrivere a sé stessi è come guardarsi negli occhi dopo troppo tempo. All’inizio ti scansi. Abbassi lo sguardo. Fai finta di niente. Poi, se hai coraggio, resti lì. E guardi. Non scriviamo mai davvero a noi stessi. Scriviamo lettere d’amore a chi non ci ama. Lettere di rabbia a chi non leggerà mai. Lettere di scuse, di accuse, di rimpianti. Ma a noi? Quasi mai. Eppure siamo gli unici che ci sono sempre. Gli unici che sappiamo davvero come stiamo. Anche quando mentiamo. Scrivere a sé stessi non è una follia. È un atto di presenza. Una carezza, una sveglia, una domanda lasciata lì. “Come stai?” “Che fine hai fatto?” “Dove sei finito?” Io lo facevo molto anni fa. Senza dirlo a nessuno. Su un quaderno che nascondevo come un segreto. Non erano belle. Ma erano vere. E bastava. Scrivere a sé stessi è come lasciare biglietti in casa per quando non ci saremo. O per quando saremo tornati. È un modo per dirci: “Ti vedo. Anche se sei a pezzi. Anche se non parli. Anche se ti stai nascondendo.”...

📘 On Writing - Autobiografia di un mestiere - Stephen King

Immagine
(Quando non è solo un libro, ma un colpo di fulmine) La prima metà è carina. Davvero. Un memoir tenero, divertente, sincero. King racconta di quando era solo un ragazzino con gli occhiali spessi e le tasche bucate, delle prime righe scritte al banco di scuola, del suo amore per la scrittura quando ancora nessuno ci credeva. Ma è nella seconda parte che succede qualcosa. Si passa dalla storia alla rivelazione. Dal racconto alla lezione. È come se, a un certo punto, Stephen King scendesse dalla montagna con le tavole della legge della scrittura sotto braccio. Sì, è così potente. Ci sono regole, certo. Ma soprattutto c’è l’ossigeno. La sensazione che si può davvero scrivere bene. Che scrivere è lavoro, sì — ma è anche una forma di libertà. Che uno stile non si compra, si scava. Che scrivere, alla fine è crederci ed usare la giusta cassetta degli attrezzi. Stephen King non pontifica. Parla come uno che ci è passato. Che sa cosa vuol dire tirare avanti con le parole anche quando il frigo è ...

🎭 Il protagonista: ascesa, caduta, rinascita

Tutti parlano di arco del personaggio. Di evoluzione. Di cambiamento. Ma per me, un protagonista non deve per forza diventare migliore. Deve solo diventare più vero . Nel mondo là fuori, c’è chi crolla e basta. Chi sbaglia, chi torna indietro. Chi si perde e non si ritrova mai. Chi è antipatico, chi proprio uno stronzo. Eppure anche loro meritano di esistere, di essere raccontati. Un buon protagonista non è un eroe. È qualcuno che sente, che si sporca, che lotta con i suoi mostri. E quando cambia — se cambia — non è perché lo dice la trama, ma perché qualcosa dentro si è spezzato o acceso. Fallo imperfetto. Fallo contraddittorio . Fallo umano : con paure che non sa nominare, con errori che si porta dietro, con quelle debolezze che ci fanno dire: “Ecco, potrei essere io.” Io li amo così, i protagonisti: quelli che cominciano convinti di avere ragione e finiscono con le ginocchia a terra, ma gli occhi più aperti. Quelli che inciampano cento volte. Che cadono male. Che si rialzano, ma non...

, La virgola

Virgole .  Quelle che ti portano da un’altra parte. Le virgole sembrano niente. Un soffio. Un'interruzione minima. E invece possono cambiare tutto. Possono salvarti. O condannarti. Farti respirare. O trattenere il fiato. Una virgola messa bene dà ritmo. Una messa male, confonde. Una virgola può dividere due amanti. O farli incontrare. Può dirti: “Aspetta.” Oppure: “Adesso.” 📚 “Chi è ferito, vada avanti!” 📚 “Chi è ferito vada, avanti !” Stesse parole. Ma la virgola cambia tutto. Nel primo caso, chi è ferito è invitato ad andare avanti. Nel secondo, chi è ferito è invitato, neanche troppo garbatamente, ad andarsene. È solo una virgola. Ma sposta il senso. E la direzione. Chi scrive lo sa. Che le virgole non servono solo alla grammatica, ma al senso. Alla voce. Alla musica della frase. Una virgola può fare la differenza tra dire tutto, o dire troppo. Tra suonare bene, o sbattere contro un muro. Io ci ho messo anni a capire quando metterle. E forse non l’ho capito ancora. Ma le sento...

📚 L'arte della scrittura drammaturgica

Immagine
( ovvero: la bibbia per chi scrive storie vere ) Ci sono libri che ti spiegano “come si scrive”. E poi c’è L’arte della scrittura drammaturgica di Lajos Egri. Questo non ti spiega. Ti sbatte in faccia la realtà della scrittura. Niente trucchetti. Niente formule da manuale di scrittura creativa. Solo la verità più nuda e spietata: se non sai perché stai scrivendo una storia, non la scriverai mai davvero. Perché è importante? Perché ti costringe a fare i conti con il conflitto. Con la coerenza dei personaggi. Con la famosa “premessa” che tutti ignorano, ma senza la quale un romanzo è solo un sacco di eventi a caso. Egri non ti dice: “Crea un eroe e fagli vivere un’avventura.” Ti dice: “Capisci cosa vuole. Capisci perché. E poi guarda come cambia.” E lo fa con una chiarezza che scuote. A chi serve? A chi vuole scrivere una storia vera, anche se inventata. A chi si è rotto dei consigli tipo “mostra, non dire” e vuole capire come funziona davvero un personaggio. A chi si chiede: “Ma perché...

❤️ Signori, su la testa!

Immagine
  Se sei qui, è perché ami le parole. Quelle che inciampano, che si sporcano, che fanno male e fanno bene. Quelle che non hanno paura di dire. Se vuoi leggere la storia che mi ha tenuto sveglio per anni, se vuoi entrare in una testa che non si è mai rassegnata... Questo è il libro che ho scritto e pensato per tanto tempo. Il libro attraverso il quale ho conosciuto e imparato la scrittura come la intendo io. È nato a pezzi, tra silenzi, notti storte e parole che graffiano. Ma è tutto vero. Anche quando sembra surreale. Se vuoi sapere cosa vuol dire per me scrivere, se vuoi capire da dove nasce Scrivere Stanca, allora leggi questo. 📖 Signori, su la testa! Un romanzo punk, visionario, tenero e bastardo. Un grido di rivoluzione, di quelli che non si sentono più tanto spesso. Ci ho messo dentro tutto. 👉 Signori, su la testa! 🔥 davidbogani.it

● Il punto

(Per chi scrive senza fermarsi mai) Il punto è sottovalutato. Snobbato. Lo considerano il più semplice, il più banale. Ma è il segno più forte di tutti. È il coraggio di dire: basta così. Il punto è una porta chiusa. Una decisione. Un taglio netto che separa un prima e un dopo. E non è facile, no. Perché mettere un punto vuol dire fermarsi. Prendere fiato. Accettare il silenzio. Dire “questa frase è finita”. E questo, per chi scrive, spesso fa paura. Molti lo evitano. Scrivono frasi lunghissime, piene di virgole e congiunzioni. Come se fermarsi significasse morire un po’. Ma il punto dà senso a tutto il resto. Una frase, per essere potente, ha bisogno di finire bene. Come una canzone. Come un amore. Il punto fa brillare quello che c’è prima. Lo isola. Lo protegge. Lo rende definitivo. Il punto è anche un attimo di silenzio. Una pausa, come nella musica. Serve a far riflettere chi legge. A lasciare che le parole risuonino. Io ho imparato ad amare il punto con fatica. All’inizio mi sembr...

✍️ Scrivere quando non ce la fai

(e farlo lo stesso) Scrivere quando sei ispirato è facile. Scrivere quando sei in pace, pure. Ma quando sei stanco, quando non ne hai voglia, quando la testa è piena di altro — lì si gioca la partita vera. A volte arrivo alla sera che non voglio nemmeno parlare. Figuriamoci scrivere. Eppure lo faccio. Non sempre bene, non sempre tutto. Ma lo faccio. Magari solo una frase. Una nota sul telefono. Una bestemmia poetica contro il mondo. Perché scrivere non è una scelta elegante. È una forma di resistenza. Scrivere mentre la casa dorme. Scrivere in piedi, aspettando il treno. Scrivere mentre lotti con te stesso che ti dice "non serve, non vale, non uscirà mai niente di buono". E invece qualcosa esce. Sempre. Anche se è storto. Anche se lo butterai. Anche se ti dirai “che schifo”. Scrivere quando non puoi è il modo più sincero per dirti: "Tu ci sei. Ancora." Non ci sono trucchi. Solo carta. O schermo. O un muro, se serve. Ma qualcosa da scrivere, c’è sempre. 📝 ESERCIZIO ...

; Il punto e virgola: quel mezzo respiro che nessuno usa mai

Il punto e virgola è come quel parente zitto alle cene di famiglia: non lo invita nessuno, ma se lo ascolti bene, è il più saggio di tutti. Non è un punto. Non è una virgola. È quel mezzo respiro che ti serve quando stai dicendo due cose collegate, ma non vuoi buttarle nello stesso sacco. Non è lì per spezzare il fiato. È lì per dare una pausa carica di senso. --- Quando usarlo? Quando vuoi separare due frasi complete, ma connesse tra loro. Quando la virgola è troppo poco, ma il punto è troppo. 📌 Esempio: Scrivere mi salva; non so bene da cosa, ma lo fa. Senza punto e virgola sarebbe: Scrivere mi salva. Non so bene da cosa, ma lo fa. 👉 Troppo secco. Troppo distaccato. Con la virgola sarebbe: Scrivere mi salva, non so bene da cosa ma lo fa. 👉 Ma no, si impasta tutto. Il punto e virgola è lì per tenere insieme, ma dare spazio. Come chi ama, ma sa anche restare in silenzio. --- Non serve abusarne. Anzi: usalo una volta ogni dieci pagine, ma usalo bene. E vedrai che potenza.

✍️ Scrivere a chi non c’è più

Immagine
Scrivere a chi non c’è più è come parlare nel buio. Non ti risponderanno. Ma tu lo fai lo stesso. Perché certe parole servono a te , non a loro. Servono a mettere un confine al dolore. A dargli una forma. Non scrivi per commuovere. Non scrivi per far poesia. Scrivi per non dimenticare la voce, le abitudini, le piccole cose. Il modo in cui si sedevano. Le battute che facevano. I silenzi. Scrivi per fissare tutto. Perché hai paura che svanisca. E invece scrivere tiene vivo. Tiene viva una parte di te. Quella che ha amato. Quella che ha perso. Quella che è sopravvissuta. Non è facile. Certe frasi fanno male solo a pensarle. Ma quando le scrivi, fanno un po’ meno paura. Scrivere non cura tutto. Ma cura abbastanza da farti andare avanti . 🎯 Esercizio di scrittura: Lettera che non leggeranno mai Scrivi una lettera a una persona che non c’è più. Dille quello che non hai detto. O quello che ripeti ogni giorno, solo nella testa. Non farla bella. Falla vera. Una lettera che...

🎤 Dialoghi & punteggiatura

Immagine
(ovvero: come mettere bene le parole in bocca ai tuoi personaggi) Scrivere dialoghi è una delle cose più difficili, un po' per quello che i personaggi dicono e soprattutto per come lo dici tu, che scrivi. Dove metti i segni. Come li metti in pagina. Io faccio ancora casino. E soprattutto ho capito una cosa: devi scegliere un sistema e tenerlo fino alla fine. Coerenza, sempre. È più importante della perfezione. 🧱 Quali sistemi esistono? 1. Caporali («…») → usati da Einaudi, Sellerio, Arbor (che ha pubblicato me), Bompiani. 2. Virgolette doppie (“…”) → usate spesso nei romanzi amamericani, Feltrinelli, Mondadori le tollera. 3. Trattino lungo all’inizio di ogni battuta (—) → amato da Adelphi. 🔑 Non mischiare. Scegli uno e portalo avanti. Se usi i caporali, usa sempre quelli. Se parti coi trattini, usa solo quelli. 🗣️ Vediamoli in pratica (e con regole umane) -- 🧩 "Via Brontola è..." disse. ✅ Frase interrotta, verbo dopo. “Disse” va minuscolo, la frase è ancora viva. --- ...

💔 Scrivere d’amore senza diventare una cartolina

Immagine
Umberto Saba diceva che “cuore” e “amore” è la rima più antica — e più difficile — del mondo. Aveva ragione. Scrivere d’amore è un campo minato. Tutti ci sono passati, tutti credono di aver capito, tutti ci mettono le mani — e spesso si bruciano. Perché l’amore è già stato detto. Troppe volte. E la banalità è sempre dietro l’angolo. Una parola di troppo, un sospiro di plastica, un “ti amo” svuotato — ed è subito fiction da discount. Allora, come si fa? Forse non si cerca di scrivere d’amore. Si cerca di scrivere una verità . Una soltanto. Non quella assoluta. Ma la tua. Scrivi di quando tremavi e non sapevi se chiamare o sparire . Scrivi di quella notte che hai riso troppo per non piangere . Scrivi di quella volta che non sei stato amato come volevi, e hai fatto finta che andasse bene. Scrivere d’amore non è mettere cuori sulle frasi. È mettere le ferite sotto la lente. È infilare nella pagina qualcosa che ti fa vibrare davvero, e sperare che, leggendolo, qualcuno si...

👣 Il carburante sporco della scrittura

Immagine
Scrivere non è solo tecnica. Non è solo stile. È fame. La fame di chi vuole sapere di più, di chi non si accontenta, di chi si infila dentro le cose, come un ladro, come un innamorato, come un curiosone . Platone, nel Simposio, dice che Eros — il Dio dell’amore — è figlio di Penia dea della Povertà e di Poros, Dio degli Espedienti. Nasce in mancanza. Ma con furbizia. È inquieto, affamato, ingegnoso. Sempre alla ricerca di qualcosa in più, come tutti  gli innamorati, come i veri curiosi. Uno scrittore dovrebbe essere questo: curioso e innamorato.  Figlio della mancanza e della voglia. Scrive perché non sa. Perché vuole capire. Perché ha mille domande e forse mezza risposta. La curiosità è il carburante più grezzo, più sporco, ma più potente che abbiamo. Se non ti fai domande, se non ti perdi, se non ti infili nel buio con un accendino in mano… non stai scrivendo. Stai decorando. Scrivere è spingere oltre. Una parola. Un gesto. Un dettaglio. Dove finisce la certezza. È lì che ...

✍️ Scrivere un pranzo è come dirigere un'orchestra.

Immagine
  Ogni forchettata, un dettaglio. Ogni bicchiere, un climax. Leggi due pagine di Hemingway in Fiesta e ti senti sazio. Ubriaco. Come se avessi davvero mangiato con lui. Com’è possibile? Perché il pranzo, per uno scrittore, è molto più di un elenco di pietanze: è ritmo, atmosfera, tensione, desiderio, memoria. Il pane che si spezza è un gesto antico. Il vino che scivola è una promessa. Un pasto ben scritto è un banco di prova: se riesci a far mangiare il lettore, puoi fargli provare qualsiasi cosa. Scrivere un pranzo è far sentire il grasso che sfrigola e la salsa che lega. È l’odore prima del gusto. È la compagnia, il silenzio, lo sguardo che si abbassa mentre si mastica. La prossima volta che leggi una scena a tavola, chiediti: sto leggendo... o sto mangiando?

🩸 La catarsi secondo Aristotele (senza troppe pippe)

Immagine
Aristotele diceva che la tragedia doveva portare a catarsi . Bella parola. Un po' antica, un po' ambigua. Sembra una cosa da filosofi stanchi e studenti insonni. Ma invece è il cuore di tutto . Catarsi vuol dire purificazione . Ma non nel senso “lavati l’anima” o “diventa una persona migliore”. Vuol dire che guardando una storia , sentendo paura, dolore, pietà , vivendola da fuori … ti succede qualcosa dentro . Succede che ti svuoti. Che ti alleggerisci. Che butti fuori roba che non avevi nemmeno il coraggio di nominare. Per questo le storie non devono solo essere “vere”. Devono muoverti . Scuoterti. Farti male. Farti tremare. E poi lasciarti lì, un po’ più pulito. Un po’ più vivo. Catarsi è quando leggi una pagina e ti sale il nodo in gola. Quando chiudi un libro e resti zitto per un minuto. Quando non sai cosa dire, perché quella storia ti ha detto tutto. Scrivere non è solo raccontare. È creare uno spazio dove qualcuno possa lasciarsi andare . E se sc...

🎭 Inizio, mezzo, fine. Tutto qui?

Immagine
  Aristotele, nella Poetica , diceva che ogni storia ben fatta ha un inizio, un mezzo e una fine . Sembra una banalità, no? Una roba da scuola elementare. E invece è una bomba a orologeria. Perché ogni volta che un racconto non funziona, quasi sempre è perché una di queste tre cose non è chiara. Oppure c’è, ma non sa di niente. L’ inizio non è solo “da dove parte”. È perché comincia proprio lì . È la miccia. Se non innesca, non esplode. Il mezzo non è solo “quello che succede dopo”. È la lotta, il dubbio, il conflitto . Se non succede niente, il lettore ti molla. La fine non è solo “come finisce”. È il senso . Anche se resta aperta, deve chiudere qualcosa . Scrivere è dare un ordine al caos. E quell’ordine ha una forma circolare , che ti fa entrare, ti tiene dentro, e poi ti lascia qualcosa addosso. Una buona storia ha un prima che pesa, un durante che scotta, un dopo che resta. E non è filosofia. È mestiere. 🛠 Esercizio (per chi ha il coraggio) Prendi un ...

🤔 L’incipit: la miccia della storia

Immagine
  L’incipit è come un tagliolino al tartufo. Pochi ingredienti, preparazione semplice. Ma il risultato può essere sublime o una palla di pasta. Basta un attimo.  L'incipit deve catturare. Colpire. Trattenere. Ma senza dirti tutto. Senza strafare. È come l’attacco di una canzone: deve farti tendere l’orecchio, fermare il passo, rimanere lì. In un’epoca in cui il lettore ha la soglia d’attenzione di un criceto, quella prima paginetta può essere la sorte del romanzo.. O quasi. L’incipit deve essere tensione. Energia che accende il motore. Una mano che si allunga nella nebbia e ti dice: “Seguimi, ma non parlare. Non ancora.” Personalmente non amo monologhi esistenziali, raffinate descrizioni meteorologiche, genealogie, sole che sorge sulle colline, notti buie e tempestose. Ci vuole una promessa. E l’odore del mistero. A me piace far squillare il telefono, ancora si drizzano a tutti le antenne quando squilla il telefono.   Ma l’incipit più bello che abbia mai letto è ques...

🫣 Grammatica (sì, ci tocca)

Immagine
  Non sono un fan della grammatica. Sono toscano. E questo non aiuta. Abbiamo sempre la convinzione che il linguaggio giusto sia il nostro. E tendiamo a tagliare, saltare, smussare.  La C se ne va, i congiuntivi scompaiono come ladri nel buio, e a volte anche l’articolo decide di prendersi una giornata libera. Ma scrivere è anche questo: rispettare le regole, (avevo scritto tegole, Freud saprebbe il perché) come nella vita. Quelle cose noiose ma necessarie, come pagare le bollette o leggere le istruzioni della friggitrice ad aria. La grammatica non serve per sembrare intelligenti. Serve per non farsi male, per non far inciampare il lettore. La punteggiatura è il ritmo. I verbi sono le fondamenta. Non devi saperla tutta. Ma almeno devi sapere dove sbagli. E quando non sai, chiedi. Controlla. Usa il dubbio come segnalibro. Poi, dopo che sai cosa è giusto, decidi se fregartene. Ma fallo con coscienza. Come chi fuma, ma solo dopo pranzo. Come chi bestemmia, ma solo quando serve. S...

🪄Scrivere per guarire

Immagine
Non sempre si scrive per pubblicare. Non per far colpo, non per dimostrare. Spesso si scrive semplicemente per se stessi. Scrivere è rifugio. È quell’ora rubata alla fatica, quel momento tutto tuo in una giornata che non ti appartiene. È un luogo sicuro dove puoi dire tutto, anche quello che fuori non riesci a dire nemmeno a chi ami. Le parole sono carezze, ma anche bisturi. Fanno bene, ma fanno male. Tirano fuori la roba che fa peso da anni. La metti lì, nera su bianco, e anche se non la risolvi, almeno la guardi in faccia. Scrivere è un modo per sopportare. Un modo per non perdere la bussola, per darsi una direzione anche quando fuori tutto gira storto. È come urlare, ma piano. È come curarsi senza medicine. Si scrive per guarire. Non del tutto. Non per sempre. Ma abbastanza da continuare. Da respirare. Da non sentirsi più soli.

👣 Mettersi nei panni del lettore

Immagine
Chi legge ha lavorato tutto il giorno. Ha i pensieri che girano in testa come forchiche senza antenne. Ha bollette da pagare, figli da mettere a letto, messaggi a cui non ha risposto. Chi legge vuole staccare la spina. Vuole entrare in un altro mondo. Vuole divertirsi. Vuole sognare. Vuole, almeno per un attimo, dimenticarsi di sé. E tu scrittore, glielo devi. Mettersi nei panni del lettore non è abbassarsi, è alzare lo sguardo. È sapere che chi ti legge ti regala tempo. E il tempo costa. Significa essere il critico più feroce di te stesso. Significa rendere ogni parola necessaria. Se impari a scrivere guardando quel signor@ seduto, con la coperta di flanella sulle gambe e sotto di esse il tuo libro, migliorerai. Perché non sarai più solo.

🧹 Togliti di mezzo

Immagine
  A volte succede. Scrivi un racconto e vuoi infilarci dentro quell’episodio che ti pare geniale , o quella frase che ti rappresenta, o far dire al personaggio una cosa che pensi tu. Ma non c’entra niente. Non fa avanzare la trama. Non svela il personaggio. Non porta tensione. È solo il tuo ego che parla . Succede a tutti. Ma se vuoi scrivere davvero, togliti di mezzo . Non sei lì per mostrare quanto sei intelligente. Sei lì per far vivere la storia. Quando infili dentro roba che non serve, il lettore lo sente. E la storia si piega. Fa fatica. Perde ritmo. Scrivere non è mostrare sé stessi, è servire qualcosa che sta sopra di te . Una storia che vuole venire al mondo senza i tuoi sfoghi, senza i tuoi interventi, senza le tue opinioni infilate a forza. Quello che pensi verrà fuori lo stesso. Ma deve farlo da solo, come conseguenza , non come dichiarazione. Se non serve, taglia. Se lo vuoi dire, scrivilo da un’altra parte.

🕯️ Il momento giusto

Immagine
Sarebbe bello. Scrivere al tramonto, con una stilografica in mano, davanti a uno scrittoio di legno scuro. Una candela accesa. Il rumore delle onde sulla scogliera. L'incenso che sale piano e la mente che si apre. Uno spritz. Sarebbe tutto molto romantico. Ma noi non viviamo in una pubblicità. Noi scriviamo dopo il lavoro, con le mani doloranti, gli occhi stanchi, la testa che fa ancora il turno del giorno. Noi non abbiamo tempo. E allora, quando arriva un’idea — una scena, una voce, una frase che ti vibra addosso — la devi prendere al volo. Subito. Perché svanisce. Perché non ti aspetta. Le intuizioni non suonano il campanello. Non chiedono permesso. E se non le fermi, se non le scrivi, se ne vanno . E non tornano più. Ci vuole poco. Uno smartphone in tasca. Una nota vocale. O un’app qualsiasi. Io uso Pure  Writer : è pulita, senza distrazioni, e salva tutto. Non ha mille funzioni. Ma ha lo spazio bianco. E basta quello. Bisogna essere pratici. Noi siamo scrittori senza te...

🎭 Vero o verosimile?

Immagine
Aristotele lo diceva nella Poetica : una storia non deve essere vera, deve essere verosimile. Non serve che sia accaduta, basta che, nel mondo in cui la racconti, possa accadere davvero. Non deve convincere la realtà, ma il lettore. Un personaggio verde, puzzolente, che odia il Natale, può sembrare folle. Ma se gli metti attorno un mondo che lo regge, se il tono è giusto, se la voce è coerente, allora diventa credibile. Funziona. Il lettore lo segue. Ci crede. Molto più inverosimile può essere un vicino di casa troppo buono, troppo piatto, troppo uguale a cento altri. Un personaggio che non ha crepe, non ha corpo, non sbaglia. E quindi non esiste. La verosimiglianza non ha niente a che fare col realismo. È questione di tensione interna, di coerenza, di scelte. È una regola non scritta: se mentre leggi ti suona tutto giusto, anche l’assurdo diventa accettabile. Se invece anche solo una frase stride, crolla tutto. Un personaggio verosimile non è perfetto, ma vive. Esita, sbaglia, si...

👁️ I tratti che raccontano

Immagine
Vengo da una terra dove bastava un segno, un dettaglio, per riconoscerti per sempre. Ti chiamavano Baffino , Luna (per la testa grossa), Merlino (per le gambe secche) e nessuno chiedeva altro. Era il modo in cui il corpo parlava prima del nome. Quando scrivete un personaggio, pensateci. Non servono due pagine di descrizione; bastano due tratti, ma giusti. Quelli che fanno immaginare una persona. Quelli che la dicono . Magari ha una fronte sempre aggrottata. O le mani piccole e nervose. Magari ha una voce rauca anche quando è calmo. Non descrivetelo come se steste facendo l’identikit per la polizia. Fatelo vivere attraverso un dettaglio che resta. E metteteci qualcosa di vostro. Il mio protagonista ha gli occhi grandi, color nocciola. Perché so cosa significa avere quegli occhi: come si muovono, come si abbassano, come si espongono. Faccio fatica per esempio, a scrivere di troppo belli. Non so cosa si prova a essere belli, a essere guardati con desiderio appena si entr...

🔙 Scrivere al passato

Immagine
  Scrivere al passato è più semplice. Non è un limite, è un sollievo. I verbi scorrono meglio, la lingua si piega con meno fatica. Non servono acrobazie. Ma c’è anche qualcosa di più, che non ha a che fare con la grammatica. Scrivere al passato è come sedersi davanti al fuoco . Come quando da piccoli ci raccontavano storie che erano già accadute, e proprio per questo potevamo ascoltarle senza paura. Il passato dà respiro. Fa capire che tutto è già successo, e che ora si può raccontare. Il dolore è passato. Il desiderio anche. Ma resta qualcosa. Un’ombra, una traccia, una verità più chiara. Perché se scrivi al passato, stai già filtrando . Stai scegliendo cosa mostrare, cosa dimenticare. Stai raccontando come si fa con i sogni: con calma, un passo alla volta. Scrivere al passato è anche un modo per dare forma . Quando metti qualcosa al passato, gli dai un inizio e una fine. Lo fai esistere. Lo chiudi in una cornice. E per chi legge, quel tempo diventa subito tempo del...

. 🗣️ Come scrivere un dialogo (vero)

Immagine
  Quando parli con qualcuno, in realtà parli anche di te. Anche se non lo sai. Ogni parola che scegli, ogni pausa, ogni frase che eviti — dice qualcosa. Nei dialoghi, come nella vita, non stai solo comunicando : stai cercando di mostrare chi sei , anche se non te ne rendi conto. Per questo, quando scrivi un dialogo, non pensare a “quello che devono dire”. Pensa a come lo dicono . Pensa a perché lo dicono. Un dialogo ben scritto non è mai solo informativo. È una finestra sull’anima del personaggio. Lui parla, ma intanto cerca approvazione. Lei risponde, ma intanto nasconde un tremore. E chi legge, se ne accorge. E non c’è solo la voce. Il dialogo è fatto anche di quello che accade mentre si parla. Lo sguardo si sposta. Una mano si stringe in tasca. Il naso sente l’odore del fumo, o della pioggia. Un rumore fuori distrae, una luce cambia, il corpo reagisce. Siamo in cinque dimensioni : la voce dice una cosa, il corpo un’altra. E lì in mezzo, nasce la verità. Vuoi scriv...

💬 Il dialogo è vivo

Immagine
Platone non scriveva saggi, né romanzi. Scriveva dialoghi. Perché è lì che le idee si accendono: quando due voci si cercano, si contraddicono, si sfidano. Nessun concetto è mai morto in un buon dialogo. Ogni verità è parziale, momentanea, ma vissuta. Vale anche nella narrativa. Quando scriviamo un dialogo, qualcosa cambia. La pagina si stacca dalla narrazione. Non c’è più il “poi”, non c’è il “dopo”: c’è l’adesso . Il dialogo non lo leggi come se fosse successo : lo leggi mentre succede . Una storia può essere tutta nel passato. Ma basta che due personaggi si parlino — o si affrontino, o si sfiorino, anche in silenzio — e la scena rinasce, ogni volta. Non racconta: vive . Un buon dialogo non serve solo a informare. Serve a far sentire . A mostrare chi sono i personaggi senza bisogno di descriverli. A rivelare ciò che tacciono più che ciò che dicono. E quando funziona, lo senti: la storia respira di nuovo. 📎 Esercizio Prendi una scena che hai già scritto. Elimina la spiegazi...

🎭 I personaggi come amici veri

Immagine
Henrik Ibsen raccontava che, prima del primo schizzo, conosceva appena i suoi personaggi, quasi come incontrasse persone in un viaggio in treno. Nella seconda bozza li frequentava come se fosse rimasto insieme a loro, per settimane in una spa. Solo alla terza li vedeva «come amici intimi» persone con cui aveva ormai condiviso tempo, silenzi, sguardi. Ecco il punto: se vuoi scrivere un personaggio vivo, non ti basta sapere il suo nome, il colore degli occhi, o cosa fa nella vita. Devi conoscerlo come conosci il tuo migliore amico . Non solo quello che direbbe, ma quello che farebbe in una situazione estrema. Non solo cosa gli piace, ma cosa lo manda fuori di testa. Per chi vota ma anche per cosa cambierebbe idea. Devi sapere qual è il suo punto debole, anche quando lui cerca di nasconderlo. Più lo conosci, più potrai lasciarlo libero. E più sarà vivo sulla pagina. Perché ti sorprenderà. Perché farà qualcosa che non avevi previsto, ma che — in fondo — aveva sempre dentro. E tu lo sap...

🌌 Scrivere in cinque dimensioni

Immagine
Non basta sapere cosa succede. Per raccontare davvero una storia, devi vederla. Anzi: devi sentirla, annusarla, abitarla. Quando immagini una scena, prova a chiederlo a te stesso: Che odore c’è nell’aria? Di cosa sa la luce? Dove preme il dolore? Che rumore fa il silenzio? Scrivere non è solo dire cosa accade. È dire come si sta dentro quello che accade. I personaggi non si muovono in un vuoto bianco. Si muovono nello spazio. Uno spazio con muri, vento, oggetti. Con scale scricchiolanti o pioggia sui vetri. Uno spazio che respira insieme a loro. E non basta lo spazio: ci sono i colori, le temperature, la pelle che reagisce, lo stomaco che si stringe. Ci sono i sensi. Il corpo. L’anima. Una buona scena è tridimensionale. Una scena viva ne ha cinque o sei. Per questo, prima di scriverla, prova a vederla con tutti i sensi. Chiudi gli occhi. Entra lì dentro. Solo dopo, raccontala. --- 📎 Esercizio: Scrivi una scena in cui non succede “niente”. Nessuna azione importante. Solo un personaggio...

🗣️ L’io narrante: la voce che respira

Immagine
Quando scrivi in prima persona, succede qualcosa di strano. La voce sulla pagina comincia a respirare. Non racconta solo i fatti: li vive. Non spiega: sente. L’io narrante è familiare. Parla come potrebbe parlare un amico, o un diario, o quella parte nascosta che di solito tace. Può avere tic, memorie sbagliate, pudori, vergogne. Può mentire. E questo lo rende umano. Ma soprattutto: può stupirsi. Un narratore esterno spesso sa tutto. L’io, no. L’io scopre le cose con il lettore. Può restare senza parole. Può cambiare idea. Può cadere. E mentre cade, racconta. È una voce unica, anche quando parla di qualcosa di universale. Ha un suo modo di guardare. Di ricordare. Di scegliere cosa mostrare e cosa no. E non serve che dica “io” a ogni frase: basta che ci sia quel tono inconfondibile. Quello di chi sta mettendo insieme un pezzo di verità, un passo alla volta. --- 📎 Consiglio pratico: Scrivi un piccolo paragrafo in terza persona. Poi riscrivilo in prima. Cambia qualcosa? Dove vibra di più...