🪶 Scrivere con ironia (e perché ci salverà la vita)

 Ci sono scrittori che si prendono così sul serio che ti viene voglia di abbracciarli… per scuoterli.

Ogni riga è un proclama, ogni dialogo una sentenza, ogni personaggio un profeta.

E il lettore? Annega.

Affoga in un mare di gravità, senza nemmeno una ciambella di sarcasmo.


L’ironia, invece, è una zattera leggera, costruita con il legno dei propri difetti.

Chi sa usarla non nega il dolore, ma lo guarda di sbieco.

Non lo traveste da farsa, ma lo racconta senza paura di sembrare imperfetto.

È onesto, eppure brillante.


E poi c’è l’autoironia.

Lì si fa sul serio.

Perché ci vuole coraggio a dire: “Sono stato un cretino, e ti racconto come.”

Non per sminuirsi, ma per liberarsi dal peso dell’ego.

Chi scrive con autoironia è più umano, più vero, più vicino a chi legge.

E molto, molto meno noioso.


Anche nei racconti più drammatici, chi ha una vena ironica si sente, si respira.

È quella brezza lieve che passa tra una pagina e l’altra e ti fa dire:

“Sì, questo scrittore conosce il dolore, ma non si è lasciato piegare.”

E allora il racconto diventa più bello.

Più potente.

Più vivo.


Perché chi sa ridere anche quando racconta il buio,

sta già facendo luce.

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