📖 Furore - John Steinbeck
Quando la scrittura ti cammina addosso.
Ci sono libri che non leggi.
Ti leggono loro.
Ti guardano in faccia e ti dicono:
“Così si scrive. Così si racconta.”
E tu, da scrittore, ti senti piccolo piccolo.
Furore di John Steinbeck è uno di quei libri.
Ti prende per le spalle e ti costringe a guardare la miseria, la fame, la dignità e la disperazione con una prosa che non si concede nulla.
Niente fronzoli, niente scene madri.
Solo la verità, raccontata con parole così giuste da sembrarti inevitabili.
La grandezza di Steinbeck è tutta lì.
Non ti urla in faccia, ti scava dentro.
Con periodi semplici, ma mai banali.
Con dialoghi che sembrano presi dalla bocca della terra.
Con descrizioni asciutte eppure poetiche, capaci di rendere un campo di polvere più epico di mille battaglie.
E poi c’è il finale.
Quella scena che non anticipo, ma che ti resta addosso come un graffio, un gesto di pietà che è anche un urlo.
Un finale che non chiude, ma apre.
E ti insegna, senza insegnarti, che la scrittura può fare questo:
trasformare la tragedia in qualcosa che pulsa.
In qualcosa di più grande.
Quando leggi Furore, se scrivi, la prima reazione è la resa.
“Non ci arriverò mai,” pensi.
Ma poi, ti accorgi anche quanto lontano si può arrivare.
A camminare.
A scrivere.
Anche una riga al giorno,
con la testa stanca ma il cuore acceso.
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