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Visualizzazione dei post da giugno, 2025

; Il punto e virgola: quel mezzo respiro che nessuno usa mai

Il punto e virgola è come quel parente zitto alle cene di famiglia: non lo invita nessuno, ma se lo ascolti bene, è il più saggio di tutti. Non è un punto. Non è una virgola. È quel mezzo respiro che ti serve quando stai dicendo due cose collegate, ma non vuoi buttarle nello stesso sacco. Non è lì per spezzare il fiato. È lì per dare una pausa carica di senso. --- Quando usarlo? Quando vuoi separare due frasi complete, ma connesse tra loro. Quando la virgola è troppo poco, ma il punto è troppo. 📌 Esempio: Scrivere mi salva; non so bene da cosa, ma lo fa. Senza punto e virgola sarebbe: Scrivere mi salva. Non so bene da cosa, ma lo fa. 👉 Troppo secco. Troppo distaccato. Con la virgola sarebbe: Scrivere mi salva, non so bene da cosa ma lo fa. 👉 Ma no, si impasta tutto. Il punto e virgola è lì per tenere insieme, ma dare spazio. Come chi ama, ma sa anche restare in silenzio. --- Non serve abusarne. Anzi: usalo una volta ogni dieci pagine, ma usalo bene. E vedrai che potenza.

✍️ Scrivere a chi non c’è più

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Scrivere a chi non c’è più è come parlare nel buio. Non ti risponderanno. Ma tu lo fai lo stesso. Perché certe parole servono a te , non a loro. Servono a mettere un confine al dolore. A dargli una forma. Non scrivi per commuovere. Non scrivi per far poesia. Scrivi per non dimenticare la voce, le abitudini, le piccole cose. Il modo in cui si sedevano. Le battute che facevano. I silenzi. Scrivi per fissare tutto. Perché hai paura che svanisca. E invece scrivere tiene vivo. Tiene viva una parte di te. Quella che ha amato. Quella che ha perso. Quella che è sopravvissuta. Non è facile. Certe frasi fanno male solo a pensarle. Ma quando le scrivi, fanno un po’ meno paura. Scrivere non cura tutto. Ma cura abbastanza da farti andare avanti . 🎯 Esercizio di scrittura: Lettera che non leggeranno mai Scrivi una lettera a una persona che non c’è più. Dille quello che non hai detto. O quello che ripeti ogni giorno, solo nella testa. Non farla bella. Falla vera. Una lettera che...

🎤 Dialoghi & punteggiatura

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(ovvero: come mettere bene le parole in bocca ai tuoi personaggi) Scrivere dialoghi è una delle cose più difficili, un po' per quello che i personaggi dicono e soprattutto per come lo dici tu, che scrivi. Dove metti i segni. Come li metti in pagina. Io faccio ancora casino. E soprattutto ho capito una cosa: devi scegliere un sistema e tenerlo fino alla fine. Coerenza, sempre. È più importante della perfezione. 🧱 Quali sistemi esistono? 1. Caporali («…») → usati da Einaudi, Sellerio, Arbor (che ha pubblicato me), Bompiani. 2. Virgolette doppie (“…”) → usate spesso nei romanzi amamericani, Feltrinelli, Mondadori le tollera. 3. Trattino lungo all’inizio di ogni battuta (—) → amato da Adelphi. 🔑 Non mischiare. Scegli uno e portalo avanti. Se usi i caporali, usa sempre quelli. Se parti coi trattini, usa solo quelli. 🗣️ Vediamoli in pratica (e con regole umane) -- 🧩 "Via Brontola è..." disse. ✅ Frase interrotta, verbo dopo. “Disse” va minuscolo, la frase è ancora viva. --- ...

💔 Scrivere d’amore senza diventare una cartolina

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Umberto Saba diceva che “cuore” e “amore” è la rima più antica — e più difficile — del mondo. Aveva ragione. Scrivere d’amore è un campo minato. Tutti ci sono passati, tutti credono di aver capito, tutti ci mettono le mani — e spesso si bruciano. Perché l’amore è già stato detto. Troppe volte. E la banalità è sempre dietro l’angolo. Una parola di troppo, un sospiro di plastica, un “ti amo” svuotato — ed è subito fiction da discount. Allora, come si fa? Forse non si cerca di scrivere d’amore. Si cerca di scrivere una verità . Una soltanto. Non quella assoluta. Ma la tua. Scrivi di quando tremavi e non sapevi se chiamare o sparire . Scrivi di quella notte che hai riso troppo per non piangere . Scrivi di quella volta che non sei stato amato come volevi, e hai fatto finta che andasse bene. Scrivere d’amore non è mettere cuori sulle frasi. È mettere le ferite sotto la lente. È infilare nella pagina qualcosa che ti fa vibrare davvero, e sperare che, leggendolo, qualcuno si...

👣 Il carburante sporco della scrittura

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Scrivere non è solo tecnica. Non è solo stile. È fame. La fame di chi vuole sapere di più, di chi non si accontenta, di chi si infila dentro le cose, come un ladro, come un innamorato, come un curiosone . Platone, nel Simposio, dice che Eros — il Dio dell’amore — è figlio di Penia dea della Povertà e di Poros, Dio degli Espedienti. Nasce in mancanza. Ma con furbizia. È inquieto, affamato, ingegnoso. Sempre alla ricerca di qualcosa in più, come tutti  gli innamorati, come i veri curiosi. Uno scrittore dovrebbe essere questo: curioso e innamorato.  Figlio della mancanza e della voglia. Scrive perché non sa. Perché vuole capire. Perché ha mille domande e forse mezza risposta. La curiosità è il carburante più grezzo, più sporco, ma più potente che abbiamo. Se non ti fai domande, se non ti perdi, se non ti infili nel buio con un accendino in mano… non stai scrivendo. Stai decorando. Scrivere è spingere oltre. Una parola. Un gesto. Un dettaglio. Dove finisce la certezza. È lì che ...

✍️ Scrivere un pranzo è come dirigere un'orchestra.

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  Ogni forchettata, un dettaglio. Ogni bicchiere, un climax. Leggi due pagine di Hemingway in Fiesta e ti senti sazio. Ubriaco. Come se avessi davvero mangiato con lui. Com’è possibile? Perché il pranzo, per uno scrittore, è molto più di un elenco di pietanze: è ritmo, atmosfera, tensione, desiderio, memoria. Il pane che si spezza è un gesto antico. Il vino che scivola è una promessa. Un pasto ben scritto è un banco di prova: se riesci a far mangiare il lettore, puoi fargli provare qualsiasi cosa. Scrivere un pranzo è far sentire il grasso che sfrigola e la salsa che lega. È l’odore prima del gusto. È la compagnia, il silenzio, lo sguardo che si abbassa mentre si mastica. La prossima volta che leggi una scena a tavola, chiediti: sto leggendo... o sto mangiando?

🩸 La catarsi secondo Aristotele (senza troppe pippe)

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Aristotele diceva che la tragedia doveva portare a catarsi . Bella parola. Un po' antica, un po' ambigua. Sembra una cosa da filosofi stanchi e studenti insonni. Ma invece è il cuore di tutto . Catarsi vuol dire purificazione . Ma non nel senso “lavati l’anima” o “diventa una persona migliore”. Vuol dire che guardando una storia , sentendo paura, dolore, pietà , vivendola da fuori … ti succede qualcosa dentro . Succede che ti svuoti. Che ti alleggerisci. Che butti fuori roba che non avevi nemmeno il coraggio di nominare. Per questo le storie non devono solo essere “vere”. Devono muoverti . Scuoterti. Farti male. Farti tremare. E poi lasciarti lì, un po’ più pulito. Un po’ più vivo. Catarsi è quando leggi una pagina e ti sale il nodo in gola. Quando chiudi un libro e resti zitto per un minuto. Quando non sai cosa dire, perché quella storia ti ha detto tutto. Scrivere non è solo raccontare. È creare uno spazio dove qualcuno possa lasciarsi andare . E se sc...

🎭 Inizio, mezzo, fine. Tutto qui?

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  Aristotele, nella Poetica , diceva che ogni storia ben fatta ha un inizio, un mezzo e una fine . Sembra una banalità, no? Una roba da scuola elementare. E invece è una bomba a orologeria. Perché ogni volta che un racconto non funziona, quasi sempre è perché una di queste tre cose non è chiara. Oppure c’è, ma non sa di niente. L’ inizio non è solo “da dove parte”. È perché comincia proprio lì . È la miccia. Se non innesca, non esplode. Il mezzo non è solo “quello che succede dopo”. È la lotta, il dubbio, il conflitto . Se non succede niente, il lettore ti molla. La fine non è solo “come finisce”. È il senso . Anche se resta aperta, deve chiudere qualcosa . Scrivere è dare un ordine al caos. E quell’ordine ha una forma circolare , che ti fa entrare, ti tiene dentro, e poi ti lascia qualcosa addosso. Una buona storia ha un prima che pesa, un durante che scotta, un dopo che resta. E non è filosofia. È mestiere. 🛠 Esercizio (per chi ha il coraggio) Prendi un ...

🤔 L’incipit: la miccia della storia

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  L’incipit è come un tagliolino al tartufo. Pochi ingredienti, preparazione semplice. Ma il risultato può essere sublime o una palla di pasta. Basta un attimo.  L'incipit deve catturare. Colpire. Trattenere. Ma senza dirti tutto. Senza strafare. È come l’attacco di una canzone: deve farti tendere l’orecchio, fermare il passo, rimanere lì. In un’epoca in cui il lettore ha la soglia d’attenzione di un criceto, quella prima paginetta può essere la sorte del romanzo.. O quasi. L’incipit deve essere tensione. Energia che accende il motore. Una mano che si allunga nella nebbia e ti dice: “Seguimi, ma non parlare. Non ancora.” Personalmente non amo monologhi esistenziali, raffinate descrizioni meteorologiche, genealogie, sole che sorge sulle colline, notti buie e tempestose. Ci vuole una promessa. E l’odore del mistero. A me piace far squillare il telefono, ancora si drizzano a tutti le antenne quando squilla il telefono.   Ma l’incipit più bello che abbia mai letto è ques...

🫣 Grammatica (sì, ci tocca)

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  Non sono un fan della grammatica. Sono toscano. E questo non aiuta. Abbiamo sempre la convinzione che il linguaggio giusto sia il nostro. E tendiamo a tagliare, saltare, smussare.  La C se ne va, i congiuntivi scompaiono come ladri nel buio, e a volte anche l’articolo decide di prendersi una giornata libera. Ma scrivere è anche questo: rispettare le regole, (avevo scritto tegole, Freud saprebbe il perché) come nella vita. Quelle cose noiose ma necessarie, come pagare le bollette o leggere le istruzioni della friggitrice ad aria. La grammatica non serve per sembrare intelligenti. Serve per non farsi male, per non far inciampare il lettore. La punteggiatura è il ritmo. I verbi sono le fondamenta. Non devi saperla tutta. Ma almeno devi sapere dove sbagli. E quando non sai, chiedi. Controlla. Usa il dubbio come segnalibro. Poi, dopo che sai cosa è giusto, decidi se fregartene. Ma fallo con coscienza. Come chi fuma, ma solo dopo pranzo. Come chi bestemmia, ma solo quando serve. S...

🪄Scrivere per guarire

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Non sempre si scrive per pubblicare. Non per far colpo, non per dimostrare. Spesso si scrive semplicemente per se stessi. Scrivere è rifugio. È quell’ora rubata alla fatica, quel momento tutto tuo in una giornata che non ti appartiene. È un luogo sicuro dove puoi dire tutto, anche quello che fuori non riesci a dire nemmeno a chi ami. Le parole sono carezze, ma anche bisturi. Fanno bene, ma fanno male. Tirano fuori la roba che fa peso da anni. La metti lì, nera su bianco, e anche se non la risolvi, almeno la guardi in faccia. Scrivere è un modo per sopportare. Un modo per non perdere la bussola, per darsi una direzione anche quando fuori tutto gira storto. È come urlare, ma piano. È come curarsi senza medicine. Si scrive per guarire. Non del tutto. Non per sempre. Ma abbastanza da continuare. Da respirare. Da non sentirsi più soli.

👣 Mettersi nei panni del lettore

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Chi legge ha lavorato tutto il giorno. Ha i pensieri che girano in testa come forchiche senza antenne. Ha bollette da pagare, figli da mettere a letto, messaggi a cui non ha risposto. Chi legge vuole staccare la spina. Vuole entrare in un altro mondo. Vuole divertirsi. Vuole sognare. Vuole, almeno per un attimo, dimenticarsi di sé. E tu scrittore, glielo devi. Mettersi nei panni del lettore non è abbassarsi, è alzare lo sguardo. È sapere che chi ti legge ti regala tempo. E il tempo costa. Significa essere il critico più feroce di te stesso. Significa rendere ogni parola necessaria. Se impari a scrivere guardando quel signor@ seduto, con la coperta di flanella sulle gambe e sotto di esse il tuo libro, migliorerai. Perché non sarai più solo.

🧹 Togliti di mezzo

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  A volte succede. Scrivi un racconto e vuoi infilarci dentro quell’episodio che ti pare geniale , o quella frase che ti rappresenta, o far dire al personaggio una cosa che pensi tu. Ma non c’entra niente. Non fa avanzare la trama. Non svela il personaggio. Non porta tensione. È solo il tuo ego che parla . Succede a tutti. Ma se vuoi scrivere davvero, togliti di mezzo . Non sei lì per mostrare quanto sei intelligente. Sei lì per far vivere la storia. Quando infili dentro roba che non serve, il lettore lo sente. E la storia si piega. Fa fatica. Perde ritmo. Scrivere non è mostrare sé stessi, è servire qualcosa che sta sopra di te . Una storia che vuole venire al mondo senza i tuoi sfoghi, senza i tuoi interventi, senza le tue opinioni infilate a forza. Quello che pensi verrà fuori lo stesso. Ma deve farlo da solo, come conseguenza , non come dichiarazione. Se non serve, taglia. Se lo vuoi dire, scrivilo da un’altra parte.

🕯️ Il momento giusto

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Sarebbe bello. Scrivere al tramonto, con una stilografica in mano, davanti a uno scrittoio di legno scuro. Una candela accesa. Il rumore delle onde sulla scogliera. L'incenso che sale piano e la mente che si apre. Uno spritz. Sarebbe tutto molto romantico. Ma noi non viviamo in una pubblicità. Noi scriviamo dopo il lavoro, con le mani doloranti, gli occhi stanchi, la testa che fa ancora il turno del giorno. Noi non abbiamo tempo. E allora, quando arriva un’idea — una scena, una voce, una frase che ti vibra addosso — la devi prendere al volo. Subito. Perché svanisce. Perché non ti aspetta. Le intuizioni non suonano il campanello. Non chiedono permesso. E se non le fermi, se non le scrivi, se ne vanno . E non tornano più. Ci vuole poco. Uno smartphone in tasca. Una nota vocale. O un’app qualsiasi. Io uso Pure  Writer : è pulita, senza distrazioni, e salva tutto. Non ha mille funzioni. Ma ha lo spazio bianco. E basta quello. Bisogna essere pratici. Noi siamo scrittori senza te...

🎭 Vero o verosimile?

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Aristotele lo diceva nella Poetica : una storia non deve essere vera, deve essere verosimile. Non serve che sia accaduta, basta che, nel mondo in cui la racconti, possa accadere davvero. Non deve convincere la realtà, ma il lettore. Un personaggio verde, puzzolente, che odia il Natale, può sembrare folle. Ma se gli metti attorno un mondo che lo regge, se il tono è giusto, se la voce è coerente, allora diventa credibile. Funziona. Il lettore lo segue. Ci crede. Molto più inverosimile può essere un vicino di casa troppo buono, troppo piatto, troppo uguale a cento altri. Un personaggio che non ha crepe, non ha corpo, non sbaglia. E quindi non esiste. La verosimiglianza non ha niente a che fare col realismo. È questione di tensione interna, di coerenza, di scelte. È una regola non scritta: se mentre leggi ti suona tutto giusto, anche l’assurdo diventa accettabile. Se invece anche solo una frase stride, crolla tutto. Un personaggio verosimile non è perfetto, ma vive. Esita, sbaglia, si...

👁️ I tratti che raccontano

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Vengo da una terra dove bastava un segno, un dettaglio, per riconoscerti per sempre. Ti chiamavano Baffino , Luna (per la testa grossa), Merlino (per le gambe secche) e nessuno chiedeva altro. Era il modo in cui il corpo parlava prima del nome. Quando scrivete un personaggio, pensateci. Non servono due pagine di descrizione; bastano due tratti, ma giusti. Quelli che fanno immaginare una persona. Quelli che la dicono . Magari ha una fronte sempre aggrottata. O le mani piccole e nervose. Magari ha una voce rauca anche quando è calmo. Non descrivetelo come se steste facendo l’identikit per la polizia. Fatelo vivere attraverso un dettaglio che resta. E metteteci qualcosa di vostro. Il mio protagonista ha gli occhi grandi, color nocciola. Perché so cosa significa avere quegli occhi: come si muovono, come si abbassano, come si espongono. Faccio fatica per esempio, a scrivere di troppo belli. Non so cosa si prova a essere belli, a essere guardati con desiderio appena si entr...

🔙 Scrivere al passato

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  Scrivere al passato è più semplice. Non è un limite, è un sollievo. I verbi scorrono meglio, la lingua si piega con meno fatica. Non servono acrobazie. Ma c’è anche qualcosa di più, che non ha a che fare con la grammatica. Scrivere al passato è come sedersi davanti al fuoco . Come quando da piccoli ci raccontavano storie che erano già accadute, e proprio per questo potevamo ascoltarle senza paura. Il passato dà respiro. Fa capire che tutto è già successo, e che ora si può raccontare. Il dolore è passato. Il desiderio anche. Ma resta qualcosa. Un’ombra, una traccia, una verità più chiara. Perché se scrivi al passato, stai già filtrando . Stai scegliendo cosa mostrare, cosa dimenticare. Stai raccontando come si fa con i sogni: con calma, un passo alla volta. Scrivere al passato è anche un modo per dare forma . Quando metti qualcosa al passato, gli dai un inizio e una fine. Lo fai esistere. Lo chiudi in una cornice. E per chi legge, quel tempo diventa subito tempo del...

. 🗣️ Come scrivere un dialogo (vero)

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  Quando parli con qualcuno, in realtà parli anche di te. Anche se non lo sai. Ogni parola che scegli, ogni pausa, ogni frase che eviti — dice qualcosa. Nei dialoghi, come nella vita, non stai solo comunicando : stai cercando di mostrare chi sei , anche se non te ne rendi conto. Per questo, quando scrivi un dialogo, non pensare a “quello che devono dire”. Pensa a come lo dicono . Pensa a perché lo dicono. Un dialogo ben scritto non è mai solo informativo. È una finestra sull’anima del personaggio. Lui parla, ma intanto cerca approvazione. Lei risponde, ma intanto nasconde un tremore. E chi legge, se ne accorge. E non c’è solo la voce. Il dialogo è fatto anche di quello che accade mentre si parla. Lo sguardo si sposta. Una mano si stringe in tasca. Il naso sente l’odore del fumo, o della pioggia. Un rumore fuori distrae, una luce cambia, il corpo reagisce. Siamo in cinque dimensioni : la voce dice una cosa, il corpo un’altra. E lì in mezzo, nasce la verità. Vuoi scriv...

💬 Il dialogo è vivo

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Platone non scriveva saggi, né romanzi. Scriveva dialoghi. Perché è lì che le idee si accendono: quando due voci si cercano, si contraddicono, si sfidano. Nessun concetto è mai morto in un buon dialogo. Ogni verità è parziale, momentanea, ma vissuta. Vale anche nella narrativa. Quando scriviamo un dialogo, qualcosa cambia. La pagina si stacca dalla narrazione. Non c’è più il “poi”, non c’è il “dopo”: c’è l’adesso . Il dialogo non lo leggi come se fosse successo : lo leggi mentre succede . Una storia può essere tutta nel passato. Ma basta che due personaggi si parlino — o si affrontino, o si sfiorino, anche in silenzio — e la scena rinasce, ogni volta. Non racconta: vive . Un buon dialogo non serve solo a informare. Serve a far sentire . A mostrare chi sono i personaggi senza bisogno di descriverli. A rivelare ciò che tacciono più che ciò che dicono. E quando funziona, lo senti: la storia respira di nuovo. 📎 Esercizio Prendi una scena che hai già scritto. Elimina la spiegazi...

🎭 I personaggi come amici veri

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Henrik Ibsen raccontava che, prima del primo schizzo, conosceva appena i suoi personaggi, quasi come incontrasse persone in un viaggio in treno. Nella seconda bozza li frequentava come se fosse rimasto insieme a loro, per settimane in una spa. Solo alla terza li vedeva «come amici intimi» persone con cui aveva ormai condiviso tempo, silenzi, sguardi. Ecco il punto: se vuoi scrivere un personaggio vivo, non ti basta sapere il suo nome, il colore degli occhi, o cosa fa nella vita. Devi conoscerlo come conosci il tuo migliore amico . Non solo quello che direbbe, ma quello che farebbe in una situazione estrema. Non solo cosa gli piace, ma cosa lo manda fuori di testa. Per chi vota ma anche per cosa cambierebbe idea. Devi sapere qual è il suo punto debole, anche quando lui cerca di nasconderlo. Più lo conosci, più potrai lasciarlo libero. E più sarà vivo sulla pagina. Perché ti sorprenderà. Perché farà qualcosa che non avevi previsto, ma che — in fondo — aveva sempre dentro. E tu lo sap...

🌌 Scrivere in cinque dimensioni

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Non basta sapere cosa succede. Per raccontare davvero una storia, devi vederla. Anzi: devi sentirla, annusarla, abitarla. Quando immagini una scena, prova a chiederlo a te stesso: Che odore c’è nell’aria? Di cosa sa la luce? Dove preme il dolore? Che rumore fa il silenzio? Scrivere non è solo dire cosa accade. È dire come si sta dentro quello che accade. I personaggi non si muovono in un vuoto bianco. Si muovono nello spazio. Uno spazio con muri, vento, oggetti. Con scale scricchiolanti o pioggia sui vetri. Uno spazio che respira insieme a loro. E non basta lo spazio: ci sono i colori, le temperature, la pelle che reagisce, lo stomaco che si stringe. Ci sono i sensi. Il corpo. L’anima. Una buona scena è tridimensionale. Una scena viva ne ha cinque o sei. Per questo, prima di scriverla, prova a vederla con tutti i sensi. Chiudi gli occhi. Entra lì dentro. Solo dopo, raccontala. --- 📎 Esercizio: Scrivi una scena in cui non succede “niente”. Nessuna azione importante. Solo un personaggio...

🗣️ L’io narrante: la voce che respira

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Quando scrivi in prima persona, succede qualcosa di strano. La voce sulla pagina comincia a respirare. Non racconta solo i fatti: li vive. Non spiega: sente. L’io narrante è familiare. Parla come potrebbe parlare un amico, o un diario, o quella parte nascosta che di solito tace. Può avere tic, memorie sbagliate, pudori, vergogne. Può mentire. E questo lo rende umano. Ma soprattutto: può stupirsi. Un narratore esterno spesso sa tutto. L’io, no. L’io scopre le cose con il lettore. Può restare senza parole. Può cambiare idea. Può cadere. E mentre cade, racconta. È una voce unica, anche quando parla di qualcosa di universale. Ha un suo modo di guardare. Di ricordare. Di scegliere cosa mostrare e cosa no. E non serve che dica “io” a ogni frase: basta che ci sia quel tono inconfondibile. Quello di chi sta mettendo insieme un pezzo di verità, un passo alla volta. --- 📎 Consiglio pratico: Scrivi un piccolo paragrafo in terza persona. Poi riscrivilo in prima. Cambia qualcosa? Dove vibra di più...

🎭 Lo spazio visivo: scrivere per occhi che immaginano

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  C’è un teatro invisibile, ogni volta che scriviamo. Ogni scena che creiamo si muove su un palcoscenico mentale. I personaggi entrano in scena, parlano, agiscono, tacciono. Ma attorno a loro? Attorno a loro c’è il mondo. E quel mondo va mostrato, anche solo con due pennellate. Perché è lì che la storia prende respiro. Quando scriviamo, dobbiamo chiederci:  dove siamo? Non in modo didascalico: non serve descrivere tutto, serve  scegliere . Un solo oggetto può raccontare un’intera stanza. Un rumore può evocare una città. Un’ombra può sostituire un personaggio. È la scrittura come scenografia: essenziale, evocativa, al servizio dell’atmosfera. Pensa al palco di un teatro: non è mai realistico. Non c’è un vero letto, ma un lenzuolo piegato con cura. Non c’è una vera strada, ma una luce blu e un suono di passi sul legno. Eppure ci crediamo, se è costruito bene. Lo stesso vale per la scrittura. Bastano  due dettagli giusti  per accendere tutto. Un racconto senza spaz...

✍️ Scrivere stanca

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Scrivere stanca. Non nel senso romantico. Ma proprio nel senso fisico. Stanca come un turno lungo, come una notte corta, come un pensiero che non ti molla mentre fai altro. Io scrivo quando posso. Dopo il lavoro, sulla metro, nei ritagli, la sera tardi. Scrivo da autodidatta, da solo, da anni. Leggo, studio, sbaglio. Ma continuo. Perché certe storie ti bussano dentro e non ti danno tregua finché non le scrivi. E fanno un gran bene. Questo spazio nasce per questo: per chi scrive anche se ha poco tempo. Per chi non ha fatto scuole di scrittura ma sente il bisogno di raccontare. Per chi scrive a margine della vita, ma non lo considera un margine. Qui troverai riflessioni brevi, spunti, esercizi, domande. Niente formule magiche, niente guru. Solo parole oneste, scritte tra una fatica e l’altra. Condivido quello che ho imparato sul campo, da solo, spesso sbagliando. Con tutta l’umiltà possibile. Se anche tu scrivi con la testa stanca ma il cuore acceso, sei nel posto giusto.   Una riga ...