🌀 Scrivere come un Boogie
Se un giorno il New York Times mi chiedesse quale canzone avrei voluto scrivere, se ne fossi stato capace, la risposta sarebbe semplice.
No, niente Il cielo in una stanza, nemmeno Imagine.
Io avrei voluto scrivere Boogie di Paolo Conte.
Per sentire davvero cos’è l’evocazione nella scrittura, basta ascoltare Boogie di Paolo Conte.
Anzi, non per capirla, ma per sentirla.
In quella canzone non succede niente e succede tutto.
Due corpi, un ritmo, una tensione che non ha bisogno di spiegazioni.
C’è del caldo, ma non lo dice.
C’è desiderio, ma non lo nomina.
C’è un’andatura incerta e sensuale, fatta di immagini che strisciano nella mente come il suono di un contrabbasso.
Conte non scrive.
Compone.
Ogni parola è una nota, ogni frase una battuta, ogni pausa è silenzio che parla.
“L’orchestra si dondolava come un palmizio davanti a un mare venerato.”
In questa frase c’è tutto.
L’orchestra non suona: ondeggia.
E quel mare non è solo scenario: è qualcosa di sacro, è movimento, è destino.
Non è descrizione. È musica.
Musica scritta.
Boogie non ha bisogno di trama.
Ci basta sapere che “lei” sprigiona vampate africane e che “lui” sembra un coccodrillo.
Non serve capire chi siano, da dove vengano, dove stiano andando.
Ci interessa quello che succede nel mezzo, il vibrare tra le cose, il suono delle parole che sudano come pelle sotto un faro da palco.
Questa canzone è scrittura.
Una scrittura che non pretende, non chiarisce, non semplifica.
È ritmo. È atmosfera. È corpo.
È il tipo di scrittura che ti entra nella pelle senza bussare.
Quella che non dice: “guarda”.
Dice: "senti".
E quando finisce, non ti ha lasciato una storia.
Ti ha lasciato una vibrazione.
Come quando chiudi un libro e ti rimane in testa una frase che non capisci bene, ma che ti batte dentro da ore.
Scrivere, a volte, dovrebbe essere così:
una questione di ritmo.
Un battito, un respiro, un boogie lento che ti culla dentro le immagini.
Una scrittura, la sua, che diceva e non diceva, che era e non era.
Evocativa, ellittica, fatta di spazi e sospensioni.
Fatta di musica su carta.
“Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti.”

Bellissimo articolo.
RispondiEliminaSentito, più che altro... grazie.
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