📖 Il congiuntivo che ci guarda deluso
C'è un momento preciso in cui capisci che stai diventando adulto.
Non è quando paghi l'affitto.
Non è quando ti compri un'automobile.
È quando cominci a usare bene il congiuntivo.
"Se io sarei felice..."
No, amore mio.
Non sei felice. Sei confuso.
Il congiuntivo non è un capriccio da maestrine. È la grammatica del dubbio, della possibilità, della paura, della speranza.
È il modo verbale delle emozioni complesse.
È il modo di chi sa che la realtà non è una linea retta, ma un punto interrogativo.
“Vorrei che tu capissi.”
“Temo che non venga.”
“Credo che potremmo farcela.”
È musica, non matematica.
Chi scrive non può farne a meno.
Perché chi scrive, se scrive davvero, sta sempre un po' tra ciò che è e ciò che potrebbe essere.
Il congiuntivo serve a stare lì in mezzo. A non decidere subito. A sentire.
È la forma verbale di chi non ha certezze, ma ha il coraggio di cercare.
Di chi non impone, ma propone.
Di chi non dice: “È così”, ma sussurra: “E se fosse così?”
Scrivere con il congiuntivo è scrivere con una piccola bussola in mano. Non sai esattamente dove stai andando, ma almeno stai provando a non perderti.
Scrivere senza congiuntivo è come camminare senza ombra. Sembra tutto più facile, ma manca qualcosa. Una profondità. Un margine di errore. Una verità più fragile, ma più onesta.
Quindi no, non è solo grammatica. È visione del mondo.
Chi non usa il congiuntivo, spesso, non ha più dubbi.
E chi non ha dubbi... scrive male. O peggio.
Esercizio pratico (ma poetico)
Scrivi una frase che comincia con “Vorrei che...”
Poi un’altra con “Temo che...”
Poi una con “Spero che...”
Osserva cosa cambia. Nei verbi, ma soprattutto in te.
Commenti
Posta un commento